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Aggiornato: 20 giugno 2025
LAMPRIDIO. S'Olimpia m'ama io sto benissimo, se non m'ama io sto assai peggio che morto: non sai tu ch'ella è l'anima mia? non amandomi come potrei viver senz'anima? sarei un che vivesse morendo sempre. PROTODIDASCALO. Larva d'uomo. LAMPRIDIO. Lasciam questo: che sai d'Olimpia mia?
GIULIO. Rispondete al saluto prima e dite: Dio vi aiuti e salvi! e poi mi dimandate d'Olimpia. LAMPRIDIO. Come può mandarvi salute chi è privo d'ogni salute? GIULIO. Or dite come stiate. LAMPRIDIO. Dillomi tu, fratello, com'io stia, che lo sai meglio di me. GIULIO. Come?
PROTODIDASCALO. Heu misera, negletta e profligata virtude! MASTICA. Orsú, mi prometterai tu quanto ti ho detto? LAMPRIDIO. Eh, Mastica, conoscerai in altro modo la mia liberalitá. MASTICA. Eccoti la lettera, leggi piano che non sii inteso. LAMPRIDIO. «Sola speranza d'ogni mio bene,...». Oh dolcissimo principio!
Non so che m'abbi: cuor mio, sta' fermo; tu par che non mi capi nel petto, tu dibatti cosí forte come se ne volessi saltar fuori. MASTICA. Con questo colore tu saresti piuttosto per sconsolarle che rallegrarle con la tua venuta. LAMPRIDIO. Farò migliore viso se posso. Va' tu presto e recami da vestire. MASTICA. Lo farò. Io entro prima, darò la buona nuova e le farò uscir fuora a riceverti.
FILASTORGO. Che figlio? io non ho figlio veruno: suo padre è morto venti anni sono in Turchia. PROTODIDASCALO. Lampridio inquam, quel vostro unigenito. FILASTORGO. lo non conosco Lampridio alcuno; quel che tu dici si chiama Eugenio né vidde me né Roma pur mai. PROTODIDASCALO. Vi bisogna reminiscere che gli sète padre. FILASTORGO. Egli ha un'altra madre a dispetto del padre e della vera madre sua.
Io ho visto hisce oculis sbarcar Filastorgo padre di Lampridio, di che un repentino tremore m'invase cosí forte che non sapea se retrogrado dovea rimeare i passi o antigrado fugire. Obstupui steteruntque comae et vox faucibus haesit. Vorrei confabular con Lampridio, acciò di quello che l'ho presagito ne veggia properar l'evento piú tosto di quello che pensiculava.
LAMPRIDIO. Madre mia dolce, vi giuro ch'una delle cose che m'accesero fieramente dell'amor di tua figlia, fu la onestá e la bontá che conobbi in lei; e se mento, facci Iddio ch'io sia privo di lei, ché non so se maggior disgrazia potrei ricevere in questa vita.
LAMPRIDIO. Eh, Olimpia Olimpia, non son queste le parole che mi dicesti partendoti da me: che piuttosto il sole sarebbe mancato di luce che tu giamai di fede, o che il tempo bastasse ad intepidirti l'ardore che mostravi tener acceso nel petto per amor mio! Ed è possibile che nel cuore, donde sono uscite queste parole, or vi sia entrata tanta oblivione?
TEODOSIO. Io non so che tu dica: io sono il vero Teodosio e questi è il vero Eugenio mio figliuolo. LAMPRIDIO. Voi fingete cosí, ma non sète quelli che dite. Andate a ritrovare il capitano e ditegli da mia parte che è stato tardi, ché il vero Eugenio è prima gionto del suo falso. EUGENIO. Chi è questo Eugenio? LAMPRIDIO. Io son desso. EUGENIO. Di chi sète figlio?
PROTODIDASCALO. Poiché m'hai eletto per medico al tuo male benemerito, eccoti un opportuno e proficuo rimedio: fuggi di questa cittade. LAMPRIDIO. Oimè, tu m'hai ferito, son morto! PROTODIDASCALO. Perché dici cosí? LAMPRIDIO. Perché parli coltelli e pugnali e spade che m'han peggio che morto. PROTODIDASCALO. Questo è un buon rimedio. LAMPRIDIO. È cattivo rimedio per me.
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