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Aggiornato: 20 giugno 2025
OLIMPIA. Ho tanta speranza ne' meriti dell'amor mio che con mille catene piú dure di queste ci legheremo con nodi d'inseparabil compagnia, né basterá alcun accidente schiodarle se non la morte. LAMPRIDIO. O Dio, non è questa Olimpia mia? non è questa la sua figura angelica? non la tengo abbracciata io o forse sogno come ho soluto sognarmi altre volte? OLIMPIA. Sento gente venir di su.
PROTODIDASCALO. Falsum, idest falsa imaginatio est che la vista d'una cosa amata voglia rincrescer giamai; anzi non è cosa piú melliflua e piena di dolcedine ch'un polcrissimo aspetto, e quanto gli oculari radii piú reciprocano meno si saziano. Concludo ergo che questo tuo venir a Napoli non è altro che addere ignem igni. LAMPRIDIO. Questa será veramente l'acqua ch'estinguerá il mio foco.
Quanto piú dura a scoprirsi questo tuo amore tanto piú goderai. Dove ti volgi? parli meco e non m'ascolti, tu miri alla fenestra sua, non sei ancor sazio di mirarla? Su su, partiamoci. LAMPRIDIO. Or ora. MASTICA. Togliti i tuoi danari, che vo' far quanto ho detto. LAMPRIDIO. Lasciami salutarla; non la vedi per i buchi della gelosia? MASTICA. Come puoi tu veder tanto?
Quivi vedendola a caso un gentiluomo chiamato Lampridio, ch'era venuto di Roma per studiare, s'accese dell'amor suo ardentissimamente; e non mancando di servirla e scoprirle il suo fuoco, Olimpia cominciò a vederlo assai volentieri e rendergli il contracambio; e confacendosi i costumi dell'una e dell'altro, si innamoraro sí fattamente che non fu mai inteso al mondo il piú ardente amor di questo: non amor no, ma rabbia.
LAMPRIDIO. Mastica, mira se è sciocco: non ha voluto venir all'esperienza dell'armi con me. MASTICA. Anzi è savio, ché ha voluto prima credere che provare. LAMPRIDIO. Andiam per i fatti nostri. MASTICA. Andiamo. Ecco mi vedrò le vene gonfie, i nervi distesi, allisciarsi la pelle della mia pancia che pareva la faccia della bisavola mia. TRASILOGO. Son partiti, Squadra. SQUADRA. Sí, sono.
MASTICA. Per che cosa? perché ho fatto forse collazione? LAMPRIDIO. Che collazione? Perché puoi trattare e ragionar con Olimpia e vederla quanto ti piace. MASTICA. Dieci di queste beatitudini le venderei per un bicchier di vino. ... Poi quando alla sfuggita mi potea parlare, diceva: Mastica, sai tu novella di Lampridio mio? e finiva le parole che le portavano l'anima in sino a' denti....
BALIA.... Or vuol che Lampridio si vesta da turco col ferro al collo e con la catena a' piedi come se fusse scampato di man loro, perché è giá di venti anni, conforme all'etá che potrebbe avere Eugenio; e con dir che sia suo fratello, entrará in casa nostra, disturberá le nozze di questo capitano, e niuno potrá negargli che non stia solo e accompagnato con la sua Olimpia come gli piace.
PROTODIDASCALO. Vuoi tu per questo appeter la morte? LAMPRIDIO. Assai meglio che mal vivere. Sendo mancata la mia fé nel cuor di quella di cui l'imagine è piú viva nel mio che non v'è l'anima istessa, ed essendo morta per me chi era cagione che a me fusse cara la vita, non mi curo piú d'anima né di vita. GIULIO. Sei tu disperato?
LAMPRIDIO. Amico, se mai mi facessi piacere, vattene, lasciami qui solo, lasciami sfogare e dolere a modo mio. GIULIO. Non è vergogna qui nella strada publica dolersi come figliuolo? Andiamo a casa, serratevi in una camera e qui a vostra posta doletivi quanto vi piace. LAMPRIDIO. Né in casa vostra né in Napoli starò un sol punto; andrò a farmi monaco per disperato in un eremo.
Togliti il tuo Lampridio, tornaci il nostro Eugenio e vattene a studiare a Salerno come prima. LAMPRIDIO. Orsú, il mio caro Mastica, eccoti questi danari per comprar robbe per la cena, e t'impegno la mia fede esser storpiato e mutolo come dici e star proprio in casa come un santo. MASTICA. Cosí, me ne dái la fede... LAMPRIDIO. Eccola. MASTICA.... di non star in casa tutto il giorno?...
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