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E lascia l'officina, e il passo tende Con altri umili artieri al loco santo, E il cereo appo l'altar ciascuno accende. Ivi ad artieri e a donnicciuole accanto S'inginocchiano tai, che più cortese Hanno il contegno e le sembianze e il manto. Il vario grado qui sparisce; intese Tutte quell'almo al Re del Ciel si stanno Che in man dell'uom dalla sua gloria scese.

Ogni con l'abate disegnando va una fabbrica nuova nel sabbione, e va crescendo idee di quando in quando: Io vo' l'altar dicea di paragone. L'abate rispondeva: Io non comando: seguite pur la vostra ispirazione. E la cucina ogni giorno crescea, sicché del fabbricar cresce l'idea.

Il gran crocifisso, unica maraviglia artistica della chiesa parrocchiale di San Giorgio, torreggiava sopra l'altar maggiore, spiccando col suo color cereo sul fondo scuro dell'abside. I piedi del martire sparivano sotto una gran fioritura di rose, disposte a mazzo enorme, che s'intendeva benissimo esser legato al tronco della croce.

La sua persona alta, dal cranio senza un pelo e lucente, spiccò qualche minuto ritta sullo sfondo nero dell'apertura: le sue labbra smorte bisbigliarono in fretta le ultime orazioni, si fece la croce tre volte, si chinò a baciar tre volte il suolo toccandolo con le punte delle dita che poi portava alla bocca, tre volte l'altar maggiore, e uscì.

L'altar maggiore, a volerlo considerar per la minuta, richiederebbe altrettanto tempo che la chiesa intera; è una chiesa, è un visibilio di colonnine, di statuette, di fogliami, d'ornamenti svariatissimi, che sporgon lungo gli spigoli, s'alzano sopra gli architravi, serpeggiano intorno alle nicchie, si sostengono l'un l'altro, si ammontano, si nascondono, presentando in ogni parte mille profili, e gruppi, e scorti, e dorature, e colori, e ogni maniera di artifiziose leggiadrie, che porgon tutte insieme l'aspetto di una magnificenza piena di decoro e di grazia.

Quando egli si commuove più fortemente, e la voce gli trema, e le lagrime gli brillano sulle palpebre, io mi volto verso l'altar maggiore e guardo il crocifisso, aspettandomi sempre di vedergli schiodare una mano e stendere il braccio per benedire quell'uomo, che lo esalta con tanto fervore, facendolo intender così bene alle turbe. Via! via! disse Maurizio. E così, proprio così; riprese Gisella.

Le cappelle sono quali convengono a una tal chiesa; quasi tutte racchiudono qualche bel monumento; nella cappella di sant'Jago, dietro l'altar maggiore, sono due magnifiche tombe d'alabastro, che contengono i resti del connestabile Alvaro di Luna e di sua moglie; nella cappella di sant'Idelfonso, la tomba del cardinale Gil Carillo di Albornoz; nella cappella de los Reyes nuevos, le tombe di Enrico II, di Giovanni II, di Enrico III; nella cappella del Sacrario, una stupenda corona di statue e di busti di marmo, d'argento, d'avorio, d'oro, una collezione di croci e di reliquie d'inestimabile valore, i resti di santa Leucadia e di santa Eugenia chiusi entro due casse d'argento cesellate con finissimo lavoro.

La bara deposta, i Fratelli, divisi in due schiere, andarono ad uno ad uno a collocarsi dietro l'altar maggiore. Tutti gli altri si gettarono in ginocchio. Squillò sottilmente un campanello. Don Sebastiano uscì a dir la messa: il coro intuonò le funebri litanie. Otto grosse candele ardevano intorno alla morta, e la cera gocciolava agglomerandosi lunghesse in grosse e bizzarre stalattiti, che Baccio, in ciò assai più decoroso dei sagrestani di citt

Un po' di prodigio cresceva attrattive alla misteriosa figura del curato. Durante la benedizione uscii a passeggiare sul sagrato deserto; la porta della chiesa spalancata sugli arpioni, lasciava vedere l'altar maggiore illuminato e i riflessi cadevano sulle casupole della piazzetta. La sera era buia: nelle tenebre fitte del villaggio, nessun altro lume che quello della chiesa.