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Aggiornato: 10 giugno 2025


E se fia mai, che de' reali eredi Il giustissimo scettro unqua s'infesti, Di quanti Cavalier vedi, e non vedi, L'armi fien pronte, e i fieri cor fian presti. Mentre dicea, ne le dorate sedi Affermar quei baron veduto avresti; Quinci AMEDEO dopo i sacrati uffici Al palagio sen va fra i duci amici.

E così gli dicea: cessa il tormento, Nobil fanciul, che ti destini a Marte, E sappi che 'l cordoglio e lo spavento Da le scole di lui vanno in disparte: Le ferite del zio, che piagni spento Ti siano specchio; indi raccogli l'arte De le battaglie, e fian di gloria adorni Se con tal pregio forniran tuoi giorni.

Or che farò? se 'n Colco unqua ritorno, Da quei Regi il mio biasmo ecco cantarsi; Se nel Regno di Rodi io fo soggiorno, Pur oggi i falli miei vi fian cosparsi, Ed udralli Ottoman; cotanto scorno Non è da sofferir per Anacarsi; E se contra il desir stata è mal forte, Emenda farne le convien con morte. Ma perchè m'abbandono? a che non stringo La spada, e volgo il piè su quelle arene?

Al mio fallire ammenda fian lieve i detti, è ver; ma in fama forse tornar potrammi alto morire. NER. In fama io ti porrò, qual merti...

Ma guai, chi 'n mal far sempre ha del restio, ché ogni sempre di trova 'l paraggio; que' che mai di colpa non fûr manchi men fian di pena ove gli rei flagello, in fin a l'ore estreme, quando 'l fio pagar verrammi inante ogni linguaggio, dal ciel i destri e da l'inferno i manchi.

Ivi almen so, che me odiranno i sassi: E al mio dolor risponderanno, i monti: Ivi al men so, che gli sospir ch'io trassi E quei ch'io traggio, ad uno, ad uno, fien conti Ivi al men so, che le fatiche, e i passi Fian note, a selve a boschi, a fiumi, e a fonti: Ivi al men so, che ogni fera sdegnosa Fia più che te: dil mio penar pietosa.

Fremeran l'armi de l'Europa; ed arsi Andranno in ira i regnator possenti, Onde di sangue e di sudor cosparsi I campi ondeggieran d'atri torrenti, Ma poi che i grandi altieramente apparsi Porransi in fuga, o sotto lui fian spenti, Dar

e a dare ad intender quanto e` poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco. E parranno a ciascun l'opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze. E quel di Portogallo e di Norvegia li` si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia.

«Codardo! esclama un de' compagni; pensa Che ognor la sorte al nostro messo arrise; La sua destrezza in tutte imprese è immensa, E altre volte le man di sangue ha intrise. Move or egli ad oprar fra turba densa, E fian le menti da terror conquise, che non arduo esser gli dee celarsi, E illeso nelle tenebre ritrarsi».

Dunque, dicea, fra' Rodïan fian conte Tante mie colpe? ed avverr

Parola Del Giorno

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