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PANURGO. L'ingiuria che l'ho fatta, è questa: che per far serviggio a mio figlio, allor mio padrone, prestatomi il nome di Narticoforo romano, che è questo gentiluomo, entrai in casa sua; e poi prestatomi il nome suo, mi feci conoscere a questo per Gerasto e lo scacciai dalla casa che non era mia. Che grande ingiuria è questa, ch'io ne meriti tanto castigo?

Nella camera dell'Albergo d'Italia io entrai come si entra da un pasticcere quando si è stati privati di zucchero per molto tempo. Parlai d'amore con lirismo variopinto e modulatissimo offrendo tutti i trampolini vellutati alla dedizione della bella donna, ma in realt

Mi fermai a dire due sciocchezze con la tabaccaia; la Luisa mi rimproverò perché io era uscito, io le accennai che ritornavo in casa; ci si bisticciò, si fece la pace, si rise eppoi andai in camera a scaldarmi. Non sentendo più dentro me alcun'indizio di malattia, la sera me ne andai al solito Restaurant; vi entrai tristo: ripensavo che l'ultima volta ci ero entrato insieme con Rossi!

Un mattino, io entrai nella sua camera mentre egli si fregiava delle sue decorazioni per andare ad assistere a non so qual matrimonio o cerimonia alle Tuileries. Il piccolo mobile in ebano, incrostato in oro, che è al suo capezzale, era aperto. Mi avvicinai e scorsi, sotto un compartimento semi-aperto, un quadrante in ismalto, ove sono segnate tutte le lettere dell'alfabeto.

Verso le tre il sonno m'aveva colto, all'improvviso, sul divano dove stavo seduto, nella stanza contigua. Cristina mi svegliò; mi disse che Giuliana voleva vedermi. Nella confusione del risveglio, balzai in piedi ancora abbacinato dal sonno. Ho dormito? Che accade mai? Giuliana.... Non si spaventi. Non è accaduto nulla. I dolori si sono calmati. Venga a vedere. Entrai. Vidi subito Giuliana.

Che demenza era quella? Anelavo, su per le scale quasi buie. Entrai nella stanza a precipizio. Che è accaduto? mi domandò Giuliana, sollevandosi. Nulla, nulla... Credevo che tu avessi chiamato. Ho corso, un poco. Tu come stai ora? Ho tanto freddo, Tullio; tanto freddo. Sentimi le mani. Ella mi tese le mani. Erano di gelo. Sono tutta gelata così....

Io presi la mia seggiolina e mi avviai all'uscio. A un tratto sentii come un gemito nella stanza accanto: era la voce della signora Leonarda che chiedeva da bere. O che l'hanno lasciata sola? dissi fra me. E senza stare a pensarci sopra, entrai in camera. Era sola, infatti, la povera vecchia maestra.

«Cosí gli dissi: e, poi che mosso fue». Qui comincia la sesta ed ultima parte di questo canto, nella quale l'autore mostra come da capo riprese il cammino con Virgilio. «Entrai», con Virgilio, «per lo cammino alto», cioè profondo, «e silvestro», percioché in quello luogo albergo abitazione alcuna si trovava. «Lo giorno se n'andava e l'aer bruno», ecc.

Entrai in un albergo ove una folla di gente ingombrava il pianterreno e il cortile, e in quella confusione non vidi più il cane. Pensai che avesse trovato il suo padrone, e ne provai vero rammarico; tanto è facile a risvegliarsi l'affetto nelle anime solitarie, che sentono il bisogno di un compagno nella vita.

Era notte fitta quando entrai nella citt