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Aggiornato: 18 giugno 2025
E gli si presentò Fulvia mezzo discinta con i capelli neri sciolti su le spalle, gli occhi stranamente illuminati dalla prospettiva del piacere: e le indovinò sotto i pizzi ricchissimi, spumeggianti dallo slacciato corpetto, la rosea trasparenza del seno sobrio e sostenuto; e vagheggiò di tuffare la faccia in quel candor misterioso, d'onde doveva sprigionarsi intenso quel mite profumo di ylang-ylang, che nelle strette di mano ella gli aveva tante volte comunicato.
Discinta la spada, mi beatificai con un catino d'acqua fresca, adocchiando contemporaneamente nella propinqua sala la mensa festante di diverse frutta che parevano colte nel paradiso terrestre, onde tardavami d'irrorare la gola arsa dal caldo e dalla sete, allorchè un paesano salendo le scale a salti con voce trarotta ci avvertì che un picchetto di lancieri borbonici spesseggiava, per riunirsi alla brigata.
Costei, che non doveva essere stata brutta alcuni anni addietro, ma che le consuetudini di una mala vita avevano sciupata anzi tempo, male in arnese, discinta, con le trecce rossigne scompigliate dagli atti maneschi della pubblica benevolenza, era la tavoleggiante del luogo, e veniva a chiedergli, con aria di vecchia conoscenza, se volesse da bere.
Si faceva or vedere da Roberto negli atteggiamenti più provocanti; se gli mostrava discinta, le sue forme robuste in parte scoperte; bene inteso, sempre quando v'erano persone vicino, che potessero accorrere in suo aiuto; gli mostrava di trattarlo come un bruto, come un uomo senza considerazione.
Fulvia era sua. La inarrivabile dama, che gli era apparsa per la prima volta in una festa da ballo, l'attendeva discinta dietro quell'uscio socchiuso: egli non doveva fare che due soli passi, ed era presso di lei, signore e amante suo; due soli passi, ma Paolo esitava a farli, forse anche aveva paura di farli.
E sussultò, udendo; la voce della donna mormorare sommessamente: Ecco; ora vado.... Aspettami.... Tornerò sùbito.... Egli protese le braccia nell'ombra, bevendo, il profumo della giovane discinta; ma non riuscì se non a sfiorare una mano di lei, che non si lasciò attrarre. Aspettami, disse ancòra Emilia. Dopo, sarò più tranquilla. Cesare si calmò. Ella doveva tornare.
Grazie, mia buona Antonietta, grazie! E così dicendo, la signora Argellani aperse gli occhi del tutto, provandosi a guardare. La prima cosa che vide, fu lo stato suo, la persona discinta; e una fiamma pallida e lieve le serpeggiò sulle guancie.
Non mai Ebbi casa o parenti; Scalza, discinta e senza nome errai Dietro le nubi e i venti. Seppi le notti insonni e l’inquïeto Pensier della dimane, L’inutil prece e il disperar segreto, E i giorni senza pane. Tutte conobbi l’improbe fatiche E le miserie oscure, Passai fra genti squallide e nemiche, Fra lagrime e paure;
E il pover'uomo dava loro la triste notizia, quando entrò la sorella tutta discinta, e inquieta. Cosa è successo.... cosa è stato.... Niente, Annuccia.... non spaventarti, rispose il povero canonico. Voi piangete e non è successo niente! In quella intese uno scalpiccìo, si voltò, e vide Masi e le serve che la guardavano con un certo viso che parlava chiaro.
In una istantanea visione le balenò il pensiero dell'illustrissima che discinta, non incipriata, non pettinata, leggeva Matilde Serao con le treccie giacenti sulla tavola di toeletta. La faccia atterrita della serva confermò i terrori di Nino. Livido e barcollante entrò, e abbandonandosi su una seggiola nell'anticamera si coprì il viso colle mani.
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