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Aggiornato: 16 giugno 2025
E, mentre li dice villania, Crisaulo scende da le fenestre e manda subito a donare a la roffiana una gran collana che aveva al collo. TIMARO. Addio, Fileno. M'avrebbe dato troppo, s'io aspettava. Tu non mi ci corrai. Son quasi stato per non tornar. Mi sta a metter paura. So che venni correndo un pezzo in giú prima ch'io mi fermassi. FILENO. Io la sapeva.
Onde avrò luogo di fare un bel tratto in favor di Crisaulo e far mio sforzo di cavarneli al tutto de la mente: ché, infin che sta cosí, non è possibile che pensi ad altro; ché noi donne sempre pigliamo il peggio. E, se fia suo marito, sendo pover di robba e di parenti, faranno amendui insieme i stentolini ed a me sará forza procacciare altronde il pan.
Con questo ci ha insegnato vincer Giove la castitá e l'onor, se fosse in carne. Di': come andò? CRISAULO. Deh! non mi molestare, ché di dolcezza il cor mi si diparte. Poi, un'altra volta.
CRISAULO. Son ben tante quelle che tu ci fai che con fatica te ne puoi ricordar; senza mille altre. Ove m'hai fatto ultimamente andare, che aspettai tanto e non vi fu persona? Che vuoi ch'io pensi? ARTEMONA. Oh! Di cotesto sai che non tel dissi certo; ma pensava, secondo che m'avea detto la fante, che la vi andasse. Non ci ho colpa alcuna. Dio sa'l cuor mio.
Or che son fuora non dubbito di nulla. Voglio andare a casa di Crisaulo e, come è giorno, intenderem la cosa. Ma son certo che ha bello e tratto: ché 'l governatore, pria mancherá la giustizia a se stessa, ch'egli li manchi. Ma che indugio qui? Non è tempo da starsi.
PILASTRINO. Ogni uom sa predicare; e tanto piú di quel che poi non crede. Certo è che l'oro è cosí maladetto che alcuno esser non può mai, in fin che n'ha, contento o riposato. Ma vorrei veder pigliare, un tratto, a chi 'l cognosce qualche rimedio. CRISAULO. E questo è 'l colmo appunto del nostro errar: ché lo veggiamo aperto; né in alcun modo ne vogliamo uscire o rimanerne.
CRISAULO. Ben l'avev'io pensato: ché la cognosco per la piú crudele, la piú ingrata e scortese che nascesse mai sotto il cielo. Ahi lasso sfortunato! Questo è 'l buon guidardon di tanta fede? Deh non foss'io mai nato! ARTEMONA. Taci, dico. Ascolta. CRISAULO. Sí, s'io posso: ch'io mi sento mancar l'anima dentro. Ma che fia?
E, in questo modo, non sol muterai nome, ma costumi, stato e natura; e forse ancor la mente. Proviam, se tu nol credi. CRISAULO. Io ti ringrazio; ché è buono il tuo consiglio: ma non voglio ch'oggi ne venda a me. PILASTRINO. Ah! ca! ca! ca! Non ti si può appicare oggi niente di questa mia dottrina. Io me ne vado. Qui non si busca. CRISAULO. Sta', non ti partire; fermati un poco.
CRISAULO. Non ti dico altro se non che quanto mai ce n'è bisogno: ché so ben come sto. Fa' di servirmi e serviti di me. ARTEMONA. Ti vo' contare. Quella farina, ch'è forse otto giorni che mi mandasti a casa, il mio figliuolo, quel maritato, venne, non ier l'altro, quand'io non era in casa, e se la prese dicendo che n'ha piú di me bisogno.
Hai ben da ringraziar tutti li iddii di tanto dono; ch'io cognosco certo, se questo non riusciva, la sposavi. Oh che bel fregio a sí onorata casa! Che direbbe ciascuno? CRISAULO. È vero e certo ch'io la sposava o che sarebbe in breve seguíto la mia morte; ché non basta il nostro ingegno a schifar le fortune e i casi avversi che sono imminenti. Che possiam contra 'l ciel?
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