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Aggiornato: 13 giugno 2025


LIDIA. Siché avete pur inteso, Amasia, mia carissima sorella, dalla mia balia l'ostinata ostinazione di questo crudel di Cintio, cui servir lungo la gran conosciuta fede a mille segni han potuto tanto rammorbidire, che d'una finta parola mi fusse stato cortese e liberale.

io ho nipote trinepote che possa pormi legge: e tutto è mentita quanto hai detto. NARTICOFORO. Ho detto il vero, piú vero di quel vero che tu dici. GERASTO. È ben vero che ho promesso a Narticoforo romano, onoratissimo uomo, dar mia figlia Cleria per moglie a Cintio suo figlio, e a lui sta a menarsela in Roma quando gli piace; e tu devi esser di cattiva lingua.

CAPITANO. Meglio per loro; ché non avea pelo indosso che non gridasse carne e sangue, ché giá di farne un scamazzo di loro l'ira m'era salita insino al naso. DULONE. Su, che badiamo? ERASTO. Tacete, vo' far il segno alla balia: fis, fis. CAPITANO. Questa non è la casa di Amasia. ERASTO. È di Cintio, che per un tragetto che abbiam fatto tra l'una casa e l'altra viene a ritrovarmi: fis, fis.

ERASTO. Cintio mio caro, per dirvelo alla libera, come conviene fra tali amici come noi siamo, da che nacqui io non viddi piú brutto e piú infame atto di questo, o non piú mai inteso tradimento al mondo, indegno non solo da imaginarsi da un gentiluomo par vostro ma da un barbaro e ben incolto; so come in un bell'animo, come il vostro è, abbia potuto capir cosí brutto pensiero.

Venne il tempo del parto, e le successe ogni cosa come desiderava; sicché Arreotimo vide in scambio di me un maschio, ed io fui mandato a battezzare, e di Cintia che si dovea, Cintio mi si pose nome. Fu tal poi la sua accortezza che non lo fe' accorger mai ch'io fussi femina, fidandosi solo d'una mia balia.

CINTIA. A che proposito? dubitate forse non si faccia l'ufficio cosí caldamente come desiate? ERASTO. Sapete che gli amanti intorno i loro amori credono solo al testimonio degli occhi loro. Fate, Cintio mio caro, ch'io non resti cosí defraudato d'un mio cosí ardente desiderio, e se amate la mia vita adopratevi per lei.

BALIA. Accetterò da vero. AMASIO. Qualche ambasciata a Cintio, eh? BALIA. Quello istesso. AMASIO. Ben, che buona risposta tu le rapporti? BALIA. La solita d'un insipido, d'un disamorato, d'un uomo di legno. AMASIO. O amor ingiusto, non amar Lidia che l'amarebbe l'istesso Amore! Balia mia, perché non ti adopri che amasse ella cosí me come ama Cintio? BALIA. Certo che ti ama piú che sorella assai.

CINTIA. Se voi mi vedete di rado, io vi vedo ben spesso ad ogni ora che voglio, e vi son sempre appresso come ve ne accorgerete alcun giorno. ERASTO. Ditemi di grazia, è vera tanta difficoltá, che vi pone Cintio, quando io vo' venire a vedervi?

A prima giunta gli darò in faccia un «Quanquam te, Marce fili...». ESSANDRO. Ti conosco di tanto ingegno che saresti per aggirar altro capo che il suo. Ma chi fingerá Cintio? PANURGO. Ci sono il Capestro, il Truffa, e Morfeo parasito, che è il miglior di tutti, perché attaccandomi un fegadello al tallone, me lo strascinerò appresso dieci miglia, ed è poco conosciuto in questa terra.

GERASTO. Di piú, ha portato un mostro in casa con dir ch'era Cintio suo figliuolo: io ho tenuto voi per pazzo, non conoscendovi; poi, m'ave inviato un giovane, che questi diceva mal di me: ed è stato cagion, penso, d'azzuffarci insieme. FACIO. Che si fará dunque delle mie vesti?

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