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Aggiornato: 3 maggio 2025
Eran le stanze tutte quante piene: piú non sapea Terigi dove attendere: per gl'inchin riscaldate avea le rene, e non ha piú ceremonie da spendere. In gran faccende è don Gualtier dabbene, che avea le cere tutte fatte accendere; ed è per tutto, e grida che si smoccoli e si raccolga il gocciolar de' moccoli.
Poich'ebbon con flemmatiche parole cercato l'uno l'altro persuadere, dicendo: Non si deve e non si puole i successor pregiudicar, messere; si riscaldaron, come far si suole, gridando: Io non vo' perder le mie cere; né piú si contendeva pel defunto, ma son le torce del contrasto il punto.
Gioioso incontro; qual veggiam, se il lume Rimena il sol de la fiorita estate, Che di volar gioconde han per costume Presso de l'aureo re l'api dorate; Con lui ne i campi erbosi, o lungo il fiume, O vanno intorno da le cere amate; Tal vanno i Rodïan, dove a grande agio Posi AMEDEO dentro il real palagio.
Frattanto Gano col cervel mulina come potesse risarcire il danno delle cere consunte la mattina e dell'util perduto in capo all'anno; e tanto e tanto un suo pensier raffina sopra un certo tranello, un certo inganno, che finalmente gli piaceva molto, e a visitar Marfisa si fu vòlto. Trovolla col zendale ancora in testa, ch'era sopra una scranna in sfinimento.
Vo' fare una sant'opra, e dal Sovrano chiedo sia benedetta dalla mano. Abbonderan le cere, e mie saranno: finita la fonzion, vostre poi sono. E piú: mille ducati pronti stanno: questi alla vostra povertá li dono. Pregate tutti Dio, dal qual pur s'hanno ad aspettar le grazie; ed il perdono dicea Gan chiedo prima de' peccati; e va baciando i scapolar de' frati.
Dovete anzi, di cere liberale, farle un solenne onor nel funerale. Ciò che adduceva l'avaron marito per non dar cere a quella sepoltura, ciò che il piovan rispondeva perito a voler torce di buona misura, cagionava un dialogo fiorito, di veritá ripieno e di natura, a tal che i turchi pel rider scoppiavano, e le lor brache larghe scompisciavano.
Caos. D'errori, sogni, favole, chimere, fantasme, larve un pieno laberinto, ch'un popol infinito, a larghe schiere, assorbe ognora, tien prigione e vinto, voglio sculpir non ne l'antiche cere, non ne le nove carte; anzi depinto di lagrime, sudor, di sangue schietto avrollo in fronte sempre o 'n mezzo 'l petto.
Lo studio, vastissimo, tutto illuminato da un largo lucernario, ingombro nel mezzo da una forte impalcatura, pieno di gessi, di cere, di crete, con le pareti nascoste da pezzi di scultura antica, da modelli anatomici, da quadri, da bozzetti, da stampe, da stoffe, da armi, aveva un solo angolo ospitale, dietro un paravento: un largo divano basso, qualche sgabello, un tavolino a due palchetti sovraccarico di albi e di libri d'arte.
L'anel dell'arte non è un diamante, non v'è nessun che piú gli presti fede; pentacoli, sigil, son tutte quante cose alle quali il diavol piú non cede. Teschi, capelli, cere, bisce e piante non trarrien di sott'acqua due lamprede. Gli antichi libri miei ben posso aprire, il diavol non si move per venire. I moderni scrittor colla scienza il popol e i dimoni hanno istruiti.
E forsi che qualcuno ch'è qui ne può essere buon testimonio: ch'io non fo come fan molti che portono la spada per fare el crudele coi servitori e con le donne e stan sulle brusche cere, sul tagliar dei mostacci e brusciar delle porte e 'l far de' Trentuni. Ma dove diavolo mi sono io lasciato trasportar dalla còlera? Perdonatemi. Colui ne è stato cagione. Di che ragionavo io?
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