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Aggiornato: 9 luglio 2025
In uno stanzino dell'ospedale di Caserta, lo trovai finalmente, quel caro e simpatico Cozzo quel prototipo della brillante gioventù palermitana oggi vispa, audace, valorosa come lo fu alcuni secoli fa, quando esterminava sino all'ultimo i boriosi antenati dei moderni Chauvins.
Il Conte di Cerra, per quanto visibilmente si sforzasse, non potè di tanto reprimere quel suo riso, che due o tre volte non gl'increspasse la faccia; nondimeno si contenne, e parlò: «E che, Caserta? Tremate voi così presto essere ridivenuto padre? Non avete voi detto ch'egli è figlio vostro?
«Ah» giubbilando nella pienezza del suo feroce sorriso, disse il Conte della Cerra: «l'ho punto su la piaga.» E dopo stette lungamente a considerare il luogo pel quale si era dileguato; alla fine riprese: «Imbecille! le menti come questa» e si toccava la fronte «non sono nate a soffrire; se i tuoi disegni, comecchè stolti, gioveranno ai miei, ti aiuterò; altrimenti con un bel prostrarmi, ed un migliore domandare perdono, te pongo sotto la protezione di una forca, me sotto quella del trono E, gettando per terra il drappo che gli copriva il volto, uscì per una porta diversa da quella per la quale era uscito il Caserta.
Il Conte di Caserta si accostò alla parete accennando cadere; lo sostenne subito il Conte di Cerra che aggiunse: «Oh! di ciò dunque non si faccia più parola. Messere, se alcuna cosa può in voi la preghiera di un fedele servitore vostro, abbandonate questi luoghi spaventosi, date alla terra quello che appartiene alla terra, le reliquie dei morti.
Messere il Re.» soggiungeva il Cerra «nè so perchè prevalesse il malvagio consiglio: i buoni non hanno bisogno di clemenza: pe' tristi ci vuole giustizia, e inesorabile, e severa.» «Che cosa ho io fatto ai Baroni, perchè non rifuggano all'idea del vituperio per distruggere il Re?...» «Il figlio di Federigo!» aggiunge il Caserta.
Il Conte di Caserta divenne pallido come la morte, vacillò, e stette lungo tempo pensoso; poi si fece a lenti passi verso il Cerra, lo prese pel braccio con la sinistra, e con la destra gli fece tale atto, che la favella, quel nobile attributo che distingue l'uomo da ogni altro animale, sembrò quasi sdegnosa di profferire.
«Anselmo,» gli disse il Conte di Caserta, occorrendogli, imperciocchè volle il destino che ritornasse prima di lui; «io ti aspettava.» «Ch'è mai avvenuto di sinistro, Messere?» «Nulla. Manfredi non diffida di noi; non vi smarrite di animo, Anselmo; mostriamo il viso alla fortuna, chè non sono ancora disperati gli eventi. Avete consegnati i dispacci?» «Gli ho consegnati.»
Nella parte occidentale del castello del Conte di Caserta era una cameretta remota nella quale nessuno, per quanto fosse ardito, osava di penetrare.
Uscito della stanza, il Cerra scosse pel braccio il Conte di Caserta assorto in cupi pensieri, e gli disse: «A che pensate, Messere?» «Penso a quanto lo avrei amato, se mi fosse stato concesso per figlio.» «Egli è senza dubbio un gentil damigello; rammenta i bei giorni della giovanezza di Manfredi.»
«Messere il Re,» rispondeva il Caserta «ma siete veramente certo che non vi abbiano ingannato?» «Ingannato! guardate se m'inganno io, leggete queste lettere, vedete la firma del Conte di Provenza, argomentate dalla risposta che cosa gli abbiano offerto i ribaldi.» «Io fremo!» gridavano a due voci Anselmo e Rinaldo.
Parola Del Giorno
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