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Aggiornato: 5 giugno 2025
Ben si de' loro atar lavar le note che portar quinci, si` che, mondi e lievi, possano uscire a le stellate ruote. <<Deh, se giustizia e pieta` vi disgrievi tosto, si` che possiate muover l'ala, che secondo il disio vostro vi lievi, mostrate da qual mano inver' la scala si va piu` corto; e se c'e` piu` d'un varco, quel ne 'nsegnate che men erto cala;
E quale il cicognin che leva l'ala per voglia di volare, e non s'attenta d'abbandonar lo nido, e giu` la cala; tal era io con voglia accesa e spenta di dimandar, venendo infino a l'atto che fa colui ch'a dicer s'argomenta. Non lascio`, per l'andar che fosse ratto, lo dolce padre mio, ma disse: <<Scocca l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto>>.
45 Apron la cataratta, onde sospeso al canape, ivi a tal bisogno posto, Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso, l
8 Sì poco, e quasi nulla era di luce in quella affumicata e nera strada, che non comprende e non discerne il duce chi questo sia che sì per l'aria vada; e per notizia averne si conduce a dargli uno o due colpi de la spada. Stima poi ch'un spirto esser quel debbia; che gli par di ferir sopra la nebbia. 9 Allor sentì parlar con voce mesta: Deh, senza fare altrui danno, giù cala!
né mai qua giù dove si monta e cala naturalmente, fu sì ratto moto ch’agguagliar si potesse a la mia ala. S’io torni mai, lettore, a quel divoto trïunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e ’l petto mi percuoto, tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso.
Il quale fu destro a schivarne il colpo, e cacciandosi fra la turba esclamava guajolando: S'e' mi coglieva, poveri i grilli del mio cervello!» Poi Luchino toccò di sprone il cavallo, e s'avviò alla rocchetta. Al suo venire, si cala il ponte, guardie gridano, guardie accorrono, un ossequio universale, un pendere attenti ad ogni suo cenno; e tutto questo perchè? perchè egli ha nome il padrone...
.... Cala.
Vïola che triste mi affascini Col supplice sguardo ch’io so, In te vive un brano dell’anima Di chi nel lontano passato mi amò!... Cala qual nembo sul mio cor di vergine L’ora sacrata de la passïone: È notte e ne la tenebra Cova un incanto di perdizione: È notte e tu non sai, Tu che dormi da me così lontano, Ch’io, bianca in volto e con le mani in croce, Chiedo il tuo bacio in vano.
Tra Lerice e Turbìa la più diserta, la più rotta ruina è una scala, verso di quella, agevole e aperta. «Or chi sa da qual man la costa cala», disse ’l maestro mio fermando ’l passo, «sì che possa salir chi va sanz’ ala?». E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso essaminava del cammin la mente, e io mirava suso intorno al sasso,
E dentro a l'un senti' cominciar: <<Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende verace amore e che poi cresce amando, multiplicato in te tanto resplende, che ti conduce su per quella scala u' sanza risalir nessun discende; qual ti negasse il vin de la sua fiala per la tua sete, in liberta` non fora se non com'acqua ch'al mar non si cala.
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