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Aggiornato: 28 giugno 2025


PANURGO. La via che avevi presa per gir all'altro mondo, lasciala, e prendi quella per gir alla casa di Cleria, che è tua moglie. ESSANDRO. Come moglie? PANURGO. In carne e ossa. ESSANDRO. Burli in cosa dove va la vita. PANURGO. È venuto Apollione tuo zio e riconosciutosi con tuo padre; son stati d'accordo con Gerasto e ti han concessa Cleria.

Tu burli: non sai tu al par di me come a Livorno abbiamo assestato le uova nel panierino a mo' di non romperle, e come questa aristocrazia di pescivendoli, navicellai e borsaioli che marciano in carrozza ci abbia secondato colle opere, col denaro? Quasi mi faresti ridere colle tue ubbíe.

FORCA. Ah, io non pensava che voi parlaste di cose triste, ma della sua Legge; e tutto il giorno si trastulla con la sua libraria, la strapazza e se la tiene aperta innanzi. FILIGENIO. Cosí mi burli, eh? FORCA. Io non burlo altrimente; rispondo alle vostre dimande.

Ma la costanza del mio amore, l'ostinazione dell'anima e la puritá della mia fede, con la quale sommamente l'osservo e riverisco, parmi che suppliscano all'oltraggio della fortuna, e me ne rendono degna. Ma io dubito che m'ami da scherzo e mi burli da dovero, poiché in tanto tempo che ci amiamo, non ha trovato modo di liberarmi da un vil ruffiano, da un abisso di oscuritá dove sepelita mi trovo.

Per.... sei tu che mi rimproveri? è strano; ed io invece doveva rimproverar te. Mi burli? Dico sul serio per.... ti cacci nientemeno nel posto di timoniere di questa barca e non avvisi il piloto.

Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’ urli, voltando pesi per forza di poppa. Percotëansi ’ncontro; e poscia pur si rivolgea ciascun, voltando a retro, gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?». Così tornavan per lo cerchio tetro da ogne mano a l’opposito punto, gridandosi anche loro ontoso metro;

ESSANDRO. Mi burli? hai torto straziarmi cosí. PANURGO. Voi volete che v'aiuti a dolervi, io vi aiuto: questa è cosa di poca fatica. ESSANDRO. Facciamo collegio tra noi della mia vita, e consigliamoci l'un l'altro se dobbiamo fuggircene.

CHIARETTA. Il malan che Dio ti dia! non vòi altro di questo? LECCARDO. E che pensavi? qualche cosa trista? CHIARETTA. Che vuoi farne? LECCARDO. Vestirla a te. E alcuna di quelle cose che l'ha mandato don Ignazio, o di quelle che portò quel giorno della festa; ché s'ella si vuole sposar dimani, noi ci sposaremo questa notte. Tu sarai Carizia, io don Ignazio. CHIARETTA. Tu mi burli.

GIACOMINO. Bisogna attendere alla battaglia che amor mi nel cuore con assalti piú atroci che ritrovar si possino. Non posso piú resistere, mi rendo vinto, sono abbattuto e morto. CAPPIO. Se sète morto, requiescat in pace, provedasi di sepoltura. GIACOMINO. Cappio, ti burli di me? CAPPIO. Giá cominciate a freneticar senza febre.

Eh! monello, gridò nuovamente quell'uomo, tu mi burli, pezzo di ladroncello, di vagabondo, di cantastorie; fino a che tua madre cantava, io ci credevo, ma ora che so esser moribonda, voglio esser pagato. Tigre! gli urlò la donna, abbi piet

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