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Aggiornato: 26 giugno 2025
Andare da Bertone? Ma a che farci? Quale utile consiglio avrebbe potuto dargli quel topo tettaiuolo? Ara diritto, non ti mettere negl'impicci, non andare a cercare il male come i medici, se vuoi viver tranquillo! Ma questo era il senno di poi, del quale son piene le fosse, come diceva il becchino, che era uomo da saperlo. Quanto a dargli una mano in quella sua necessit
E alleggerito di dodici lire, ma contento di avere aiutato quella povera figliuola, che non ci aveva lì per lì un benefattore a darle una mano, se ne andò in traccia di Filippo Bertone.
E adesso, ripigliò Filippo Bertone, appòggiati al mio braccio e andiamo nel salotto, dove ella ti attende. Non ho voluto farla entrar qui, per non farti, cadere in deliquio. Amico mio, non mi sono mai sentito così forte come oggi. Ah sì? e frattanto ti tremano le gambe. Tienti al mio braccio, ti dico. Ariberti obbedì, perchè infatti la commozione non gli consentiva di far la strada da sè.
L'accidente prima della sostanza! esclamò facetamente Filippo Bertone, seguitando l'amico nel campo della filosofia. Io direi anzi il contrario.
Filippo Bertone era andato ad abitare laggiù. La rondine, al suo ritorno da quelle parti, aveva trovato occupato il vecchio nido ed era andata più lungi a fabbricarsene un altro. L'altezza di questo era a un dipresso la medesima, cioè sotto le travi del tetto. E non è questa forse la postura più acconcia pei nidi? Dopo tutto, il primo nido di Filippo Bertone dava sopra una sequela, anzi una confusione, di tetti più bassi; laddove il secondo dava in una corte abbastanza spaziosa, dov'erano certe scuderie, e vedeva le spalle d'una gran casa, che poteva, dall'altra banda, pretendere al nome e alla dignit
Filippo era un amico vecchio, che egli trascurava da un pezzo; ma, in una occasione come quella, non ci era che lui per dargli un consiglio. Aveva buon gusto; era sincero; se la tragedia piaceva a lui, doveva esser buona; e allora..... Ariberti veramente non sapeva che cosa avrebbe fatto allora: ma intanto, il giudizio di Filippo Bertone gli pareva più necessario che mai.
Cinquecento ne aveva Bartolomeo da Modena; dugento per ciascheduno Giovanni da Cuma, Soncino Corso e Carlo del Maino; trecento Cipriano Corso, duecento Antonello da Montefalco ed altrettanti il Vecchio Calabrese; cento il Giovine Calabrese, cento Battista di Rezzo, come Carlino Barbo, Bertone Maraviglia e Bertoncino il Poccio, da ultimo, ne aveva cinquecento egli solo.
Andava in quella vece da Filippo Bertone, dal suo fortunato rivale, in cui la sera antecedente egli vedeva ancora un nemico. Filippo gli aperse le braccia e se lo strinse al petto con tenerezza fraterna. Voleva sorridergli; ma lo vide così stralunato, che il sorriso gli si gelò sulle labbra. Mio Dio! esclamò egli impallidendo. Che ti è accaduto, Ariberto?
Filippo Bertone diceva poi al farmacista: Togliamo i privilegi d'ogni genere; sta bene. Ma incominciamo a toglierli dal nostro paesello. Perchè non si abolisce il titolo e la umilissima riverenza al signor conte di Montiglio? È candidato alla deputazione, mi direte, e un titolo e una riverenza non guastano. Ma il suo programma politico, lo conoscete voi? Ci si legge egli proprio il paragrafo che il signor conte parler
Così parlava quel vanerello, che aveva ancora il latte sulle labbra, e s'impancava a far l'uomo. Sotto i tegoli. Lo stesso giorno che quella ibrida conversazione si era tenuta al caffè dell'Aquila, il nostro Nicolino Ariberti andava in cerca di Filippo Bertone.
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