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Eh continuava il barcaiuolo epicureo ai tempi delle lustrissime Adriana e Marina ci si divertiva in Palazzo. Altro che adesso! Non s'eran mai viste due cognate che se la intendessero meglio di quelle. Mai una gelosia, mai la cattiva azione di portarsi via i morosi, ma invece un aiutarsi, un difendersi ch'era un piacere a sentirle. Io ero il confidente di tutt'e due, e quando l'una o l'altra diceva di voler la gondola a un remo solo e che quel remo dovevo esser io, sapevo benissimo di che si trattava. Qualche volta i due mariti e i due rispettivi cavalieri serventi volevano tirarmi in lingua. Mi ricordo che un giorno il nobiluomo Barbo, che serviva la lustrissima Adriana, mi disse: «Tu tieni il sacco a quella fraschetta.» «Nobiluomo io risposi la parli con rispetto della padronaSicuro; perchè io non ammettevo scherzi su questo proposito.... Ma quando potevo, coi debiti riguardi, dare un buon consiglio alle lustrissime, mi facevo coraggio. E raccomandavo loro di usar prudenza e di salvare le apparenze, che son quelle a cui il mondo bada di più. Così facevo il mio dovere, e le padrone, che non avevano ombra di sussiego, me ne ringraziavano. Erano due angeli, quelle donne, e non è mica a credere che fossero cattive mogli. Bisognava vederla Sua Eccellenza Adriana durante la lunga malattia del marito. Pareva una suora di carit

Cinquecento ne aveva Bartolomeo da Modena; dugento per ciascheduno Giovanni da Cuma, Soncino Corso e Carlo del Maino; trecento Cipriano Corso, duecento Antonello da Montefalco ed altrettanti il Vecchio Calabrese; cento il Giovine Calabrese, cento Battista di Rezzo, come Carlino Barbo, Bertone Maraviglia e Bertoncino il Poccio, da ultimo, ne aveva cinquecento egli solo.