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No; disse Filippo; tu vuoi da me un atto di debolezza, ed io non sono disposto a commetterne. Bada; potresti pentirtene. Filippo Bertone si strinse nelle spalle e non rispose parola. Ariberti se ne andò invelenito. Mezz'ora dopo, si metteva nelle mani del Priore, e lo pregava di andare e sfidargli il rivale. , , come vorrai; disse Tristano; ma lascia fare a me.

Filippo Bertone abitava una meschina cameretta, anzi una stamberga, nelle soffitte d'una vecchia casa in via degli Argentieri, che era tra le più popolose, ma altresì tra le meno signorili dell'antica Torino. Un letticciuolo di contro alla parete, che faceva venir freddo solamente a vederlo, due sedie zoppe, un tavolino presso la finestra, che dava sui tegoli neri del tetto, un baule spelacchiato che doveva offrire ai visitatori un modus sedendi non guarentito loro dal picciol numero e dalla poca sicurezza delle sedie, un catino sul suo trespolo di legno, e finalmente una pila di libri su d'una stufa rotta erano tutti gli arredi della cameretta di Filippo Bertone. Non c'era armadio, portamantelli, per gli abiti dello studente; ma bisogna anche dire che Filippo Bertone non aveva abiti di ricambio; il suo giubbone di color tabacco lo portava con , e quando, per le ore di sonno, o dello studio in camera, dovea pur separarsene, un umile chiodo alla parete gli serviva d'appiccagnolo. I mattoni del pavimento, corrosi dal lungo uso di parecchie generazioni d'inquilini, smossi la più parte dai loro alveoli di calce, ballavano sotto i piedi, quasi a dimostrar loro la instabilit

Le chiedo scusa... Buon giorno, signorina. Quando la signora Giuseppina Giumella si avvide che l'amico Bertone non era un pretesto e che quel timido giovinetto non cercava proprio di lei, uscì sul pianerottolo per fargli servizio e chiamare la padrona di casa.

Bertone parlava così, da quel giovine discreto ch'egli era; ma noi sappiamo gi

A tutta prima, quel luogo gli era parso un po' troppo signorile e da farlo stare in soggezione col vicinato. Ciò pel di fuori. Quanto all'interno, la camera era più stretta, e Filippo Bertone pensava con raccapriccio che non avrebbe potuto scaldarcisi nell'inverno, come nell'altra in via degli Argentieri. Il nostro Bertone ci aveva un metodo suo per riscaldarsi d'inverno.

Gli stessi Göthe e Schiller non avevano fatto insieme un Almanacco delle Muse e mandato i loro versi immortali sotto la coperta dei dodici mesi dell'anno? Ariberti fu scosso dalla efficacia dell'argomento. Per altro, innanzi di appigliarsi ad un partito, volle sentire il savio parere di Filippo Bertone.

E tuttavia, poco stante, per una di quelle contraddizioni così frequenti nelle anime timide, egli avrebbe voluto essere lontano, molto lontano, dal suo modesto davanzale. La signora aveva alzato gli occhi a guardare il cielo. Niente di più naturale, ma nel guardare il cielo i suoi occhi s'erano incontrati nell'abbaino e s'erano posati un istante sulla pallida faccia di Filippo Bertone.

Ah, lo dicevo io! gridò tutto ad un tratto il Ferrero, lasciando a mezzo una sua proposta che non lo finiva poi troppo. Il Bertone è a Torino. Guardatelo, l

Filippo Bertone, commosso da quella ruvida e schietta bont

A Mondovì il giovinetto Filippo Bertone era citato come un genio nascente. Suo padre, facendo sforzi inauditi per metter d'accordo volere e potere, lo avea mandato agli studi in Torino. E il nostro adolescente, che amava svisceratamente suo padre ed era al fatto dei sacrifizi della famiglia per lui, aveva vissuto otto mesi a Torino, cioè a dire tutto l'anno scolastico, senza oltrepassare le quattrocento lire di spesa, tra alloggio, vitto e quel po' di bucato. Era un miracolo di risparmio, per verit