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Aggiornato: 21 giugno 2025
Tu, Baccio, lo puoi dire e lo può dire Mansueta e Don Luigi e tutti lo possono dire. Le nostre baite erano vicine; mio padre e mia madre, suo padre e sua madre si davano del tu fin da quando erano fanciulli alti come quei due poveretti che sono usciti testè... Qui s'interuppe, e disse a bassa voce, quasi parlando a sè stesso: Perchè li abbiamo messi al mondo, perchè?
Cadeva il sole, quando una febbre violenta assalse Don Luigi, dopo un sopore affannoso che era durato tutta la giornata, interrotto da lunghi tremiti e da sospiri repressi. Il Bazzetta, tranne alcune corse al suo negozio, era sempre stato con me al suo fianco, e fummo noi due che, aiutati da Baccio, trasportammo e ponemmo a letto l'infermo.
Nel cortile scalpita la cavalcatura del signor de Emma: s'ode qualche belato fioco come venisse di sotterra. Il colloquio nello studio si prolunga. Un passo s'avvicina. È Baccio che torna. Don Luigi e il dottore gli vengono incontro a' piè della scala. Sento il sacrestano che dice: In casa non c'è. Poi entra; la porta dello studio si chiude di nuovo. Nessuno si ricorda di me.
Il dottore lo lasciò uscire, e, senza darsi pensiero alcuno di quella strana precedenza data alla sua bestia da Baccio, andò ai fornelli, ne tolse di sotto una fascina, la gettò sul fuoco e, voltogli il dorso, e spalancate le gambe, prese di buon grado la tazza di vino presentatagli da Bazzetta.
Ho l'anima inquïeta.... Come mi batte il core! È gioia od è terrore? Quest'ansia, o Dio, cos'è? Leggiam: «Ti scrivo in freta Di sopra il mon tebarro, Ti baccio, adio mio carro. Ammami e penza ammè.» Pag. Anacreontiche 147 La Tipografia Editrice Lombarda ha pubblicato, nel formato del presente volume, il
Salendo al villaggio, signor curato, mi sentivo triste come un moribondo; pensavo a mia madre, stranamente. Avevo anch'io bisogno di trovar chi mi rispondesse, chi mi capisse!... bevo questo bicchiere alla salute di Baccio, di quel bravo uomo che mi ha condotto davanti a un'anima buona e bella come la vostra!
Intanto il Palavicino, uscito dal castello di Porta Giovia, messo a un piccolo trotto il cavallo, passato per quelle vie bistorte tagliate a sghembo, senza livello, a piani ineguali, che allora venivan tutte distinte dal comune appellativo del Baccio, casupole e catapecchie della più minuta e lurida accozzaglia di plebe, si trovò presto nella vetusta contrada dell'Orso-Olmetto.
Mi aspettano, sa? e se ella vuol far tappa nel tugurio della mia Gina, è un'amica del di lei babbo, la dev'essere una festa davvero! Il signor Arturo, Baccio tu lo conosci, aggradì l'offerta. Ci incamminammo, aggrappandoci alla meglio per gli scogli irti di sterpi. Ma la via del ritorno par sempre buona. Almeno sembrava tale allora per me.
E con voce concitata, rauca, affannosa, cominciò: Voglio parlare! bisogna che parli! il mio segreto mi bruccia nella strozza! Mi ascolti pazientemente, signorino, e tu, Baccio, stammi a sentire anche tu. Si asciugò il sudore, tornò a sedere, si nascose la testa nelle mani, e continuò: La mia Gina a quindici anni era la più bella ragazza del paese, e la più buona.
E quell'uomo vive ancora? sclamai coll'impeto dei miei vent'anni. Sì, e deve vivere, e saprete il perchè deve vivere, a meno che non scavalchiate le mie barricate. Ma per ora, si tratta d'altro; ho bisogno di un servizio da voi. Non potrei riposare se sapessi Beppe libero di sè stesso questa notte. Il curato, così parlando, aveva dato un nuovo scrollo al cordone del campanello. Baccio comparve.
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