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Aggiornato: 9 luglio 2025
Certo, ch'io non posso, almeno in render le debite grazie, scioglier parola. CRISAULO. Non grazie o parole. Fa' ch'io sol veda, lá dove bisogna, parole e fatti; ché so ben c'hai l'arte e la lingua da far muovere un sasso, non ch'una donna. ARTEMONA. Vo' che sian gli effetti che provin l'arte, l'amore e la fede. Resta con Dio. CRISAULO. Fa' di tenermi a mente.
Né certo ti devrebbe esser sí grave: perché non si terria impiastro perfetto, se non cuocesse al mal; né medicina fu dolce al gusto mai che fosse sana. Artemona si mostra con la collana al collo che ebbe da Crisaulo. E, dicendo alcune cose che sono introdotte come certa conclusione sopra de l'oro, è da Pilastrino trovata.
Timaro, fa' portare a questa donna, a casa, un'altra soma di farina; e, se vuole ancor altro qui di casa, dálli quello che vuole. ARTEMONA. Oimè meschina! Vivrò mai tanto che mi sia concesso rendere in cambio di sí larghi doni, non parole, ma fatti? E forse tali che tu sempre cognosca tanto bene non aver fatto, se ben poverina, a donna ingrata.
ARTEMONA. Io so che vuoi mostrare esser di tutte l'altre la piú savia e piú da ben. LÚCIA. Perché? ARTEMONA. Perché tu sola vuoi governarti al contrario de l'altre che non son manco belle o meno oneste che ti sia tu. LÚCIA. E in che? ARTEMONA. Dico che l'altre tutte fan buona cera a chi con vero veden che l'ami; e non è donna al mondo che non abbia piacer d'essere amata, come tu mostri.
Ma saria cosa lunga. ARTEMONA. E come è fatto? di cera? PILASTRINO. Non ne vidi mai ritratto: come intraviene ancor di molti idii che fanno il grande e non si mostran mai in forma alcuna.
Ella, benché mostrasse di nol credere, sí volentieri par che l'ascoltasse ch'io penso che la cosa di Filocrate sia prolungata. E chi ha tempo ha vita. Che pare a te? CRISAULO. Mi piace, se a te piace. ARTEMONA. Ma ti bisogna molto essere accorto, in questa cosa, perché non pensassimo prender chi poi, nel fin, prendesse noi: ché anzi vorrei morir che simil cosa venisse per mio mezzo.
Tu hai una buona cera. Buon pro ti faccia. ARTEMONA. Cosí dice ognuno. Ma non lo credo lor, ché le mie gambe mi dicon quel ch'io son. CALONIDE. Di', per tua fé: come la fai con gli anni? ARTEMONA. Oh! bene, bene: ché passan via che non li veggio a pena; e mi fan cosí buona compagnia ch'altro dolor non ho sempre nel cuore se non che non stan meco o ver, partiti, non ritornan mai piú.
CRISAULO. Son ben tante quelle che tu ci fai che con fatica te ne puoi ricordar; senza mille altre. Ove m'hai fatto ultimamente andare, che aspettai tanto e non vi fu persona? Che vuoi ch'io pensi? ARTEMONA. Oh! Di cotesto sai che non tel dissi certo; ma pensava, secondo che m'avea detto la fante, che la vi andasse. Non ci ho colpa alcuna. Dio sa'l cuor mio.
Credo ch'omai d'altro puoi perder poco. ARTEMONA. Tu non l'hai chiamato. Di' che son io, ché mi spedirá, forse. TIMARO. Eccol che viene. Arruffati, barbuta. ARTEMONA. Dio ti facci contento. CRISAULO. E te meschina, donna maestra di non dir mai vero e vender ciancie. ARTEMONA. E perché dici questo? Ancor io non ti intendo.
Ho pensato una via e l'ho in parte giá messa ad effetto. A me par buona:... CRISAULO. Non mi indugiar. Dillo. ARTEMONA. ... perché veggiam che a noi sarebbe assai poter, per ora, solo avere audienza; e, se questo facciamo, il resto è nulla. E certo verria fatta, se dái ciance che la torresti tu, com'io feci oggi con la madre; e lo fei come da me.
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