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Aggiornato: 9 luglio 2025
ARTEMONA. Tu sei troppo savio. Ne son teco, di questo. A dire il vero, io truovo un gran piacere nel mangiare e nel ber ben. PILASTRINO. Perché tu hai cervello. Uno ignorante non sappria parlarne. Questo è l'amor divino che i dottori dicon ch'è cosí santo. ARTEMONA. Di', di grazia: ché, se fosse cosí, vorrei provare a fargli qualche voto. PILASTRINO. Vorrei dirti prima l'antica sua genealogia.
Diman voglio trovar la vecchia e seco consigliarmi di questo; e che pensiamo qualche malizia nuova. Artemona, trovato Crisaulo, li narra quello che è seguito de la sua imbasciata e lo lascia mentre egli si lamenta d'Amore: in che poi forte crescendo, preso da uno accidente di cuore, si vien meno; e, per una orazione di Fileno suo servo fedele, ritorna. ARTEMONA. Io non pensava piú di trovarti.
Artemona, cercando Crisaulo, si incontra in Pilastrino rivestito de' panni del vecchio scorciati e rifatti; e li dimanda di Crisaulo. E, non avendo da lui risposta a proposito, lo lascia; e, trovato Crisaulo, li dá per consiglio che dia parole a la madre di Lúcia di sposar la figliuola. ARTEMONA. Io non so omai piú dove cercar quest'uomo. Sará andato in villa. Quel non è Pilastrin?
CRISAULO. Eccomi qui. Che nuove? ARTEMONA. Cattive e dolorose. CRISAULO. Aimè! Son morto. Contami il tutto. ARTEMONA. Eh! Non cosí cattive che nochin con effetto, ché vedrai che te la vo' domar; ma, per adesso, si mostra aspretta. CRISAULO. Sará tanto, al fine, ch'io ne morrò. Dimmi come è passata, di punto in punto.
CRISAULO. E perché questo? ARTEMONA. Perché bisogneria che tu facessi conto sol di fuggire o co' parenti venir forte a le mani. CRISAULO. Io non ho cura d'altri che di me stesso, in questi casi. Pur, perché vada ben, piglia tu il modo: ch'io son per ubbidirti. ARTEMONA. Vederemo quel che si potrá far. Forse domane io le riparlerò.
ARTEMONA roffiana, TIMARO, CRISAULO. ARTEMONA. Ta, ta. Saran tutti a letto. Piace anche a me 'l dormir. TIMARO. Chi batte giú? ARTEMONA. Amici. Apri: son io. TIMARO. Pare una donna. E chi sei tu che vai cosí a quest'ora? Oh brutta vecchia! Se non par la strega che vadi in corso! ARTEMONA. Dimmi: ove è Crisaulo? TIMARO. E che buona faccenda? qualche polli, cosí a buon'ora?
ARTEMONA. Oggi vi sono stata: e la fante mi la ha fatto parlare, sotto quelle camicie; ed io da lunge mi mossi per ordir la buona tela. Ma costei se n'accorse nel principio: onde mi colse ben, ché è gran ventura ch'io ne sia ritornata senza offesa. Ma ancor, per questo, non aver pensieri; ché, anco che crepi, le vo' trar del capo la bizzarria.
LÚCIA. E che vorresti mai? che ti pigliassi in braccio e ti basciassi com'un bambino? Tu sei troppa grande! Eccoti qui de' baci quanto vuoi. Queste non son carezze? ARTEMONA. Ah luce mia, piú bella e risplendente d'ogni stella e piú cortese di ciascuna donna!
CALONIDE. Io te lo dissi, allora, che non s'è fatto nulla di Filocrate né s'è per far; ché, se mi ritornasse carico d'oro, non glie la darei. Poi ti dico de l'altro: che non voglio che noi pensiam tant'alto, perché poi non ci venisse come quella fola di colui che voleva andare in cielo con le penne di cera. ARTEMONA. Non fai nulla, se guardi a queste cose. Tu sei savia.
Ma vegnamo a la fine. Piú volte abbiam parlato; e cosí Artemona t'ha detto la mia mente. Or ti concludo, e dico espresso, se ne sei contenta, ch'io sono in ogni modo risoluto di tôrla per mia donna e di sposarla: ché altro non truovo, al fine, in questo mondo che contentarsi; e so che può di lei contentarsi ciascuno.
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