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Aggiornato: 21 giugno 2025
Rifiutare di battersi col Palavicino non fu cosa che neppure gli passò per la mente a tutta prima. Ma che sarebbe avvenuto del fanciullo Armando, se il Palavicino fosse rimasto ucciso? Ma qual valore potevano avere le generose proposte del medesimo, sinchè il fanciullo trovavasi nelle mani del Mandello?
Intanto, di giorno in giorno, Armando continuava ad essere più in voga. Ricevette venti lettere dalla Champrosé, che non ebbe la pazienza di leggere tutte. Un'altra delle più alla moda lo mandò a invitare ad una delle sue cene intime. La contessa di Grives andava tutti i giorni, nel suo cocchio dorato, a prenderne le notizie. Perfino la marchesa fece lo stesso; anzi chiese di vederlo.
La festa sontuosa, splendida, durò fino al mattino e le mille fiamme dei candelabri lottarono coi raggi del sole ch'entravano dalle finestre e che subito valsero a far fuggire le signore. Ma Armando non potè restare. Fu preso da una febbre ardente e dovette andarsene.
Il fatto sta che la mattina di quel giorno la marchesa pensò ad Armando. Pensò a lui e un sorriso le sfiorò le labbra. Un sorriso che per tradurlo, se fosse possibile, ci vorrebbe la coltura d'Aspasia, l'esperienza di Ninon de l'Enclos e l'immaginazione di un poeta orientale.
All'estremo istante, la marchesa di Saint-Aubin entrò nella stanza. Silenzio! disse il cavaliere. Fermatevi; egli non vi vede più, marchesa. Infatti, Armando non la vedeva; era ben lontano da lei. Nel suo occhio vi era il raggio supremo. Egli era assopito. La sua testa stanca posava sui cuscini; la bocca gli si agitava. D'improvviso una luce sembrò passargli sul viso.
Il Lautrec guardò per un istante quel gruppo; tutti gli animi erano commossi, e qualche lagrima fu veduta cadere anche sulle rudi guance di più d'un soldato. Ma tra quella folla si mostrò allora il giovinetto paggio, l'assiduo compagno dell'infermo Armando, e fermatosi un momento a vedere, scomparve poi subito, senza che nessuno ci badasse. A questo punto eran dunque le cose.
A questo punto, uno dei tre ufficiali francesi che avevano accompagnato il Palavicino a Reggio, e che nel primo incontro dei due amici s'eran fermati sull'uscio della camera, si fece innanzi e voltosi al conte Galeazzo Mandello: Signore, gli disse in francese, credo inutile il parlarvi della vostra fede di cavaliere; ma vorrei sollecitarvi a consegnare a noi tre, che ne abbiamo espresso mandato dal governatore Lautrec, il fanciullo Armando, e a fare quello che avete promesso nella vostra lettera.
V'erano fuochi così detti di riga, di mezze divisioni, di plotoni, da fermo e marciando, cioè alternandosi le righe nello sparare usufruendo all'uopo degli intervalli interposti. Contro la cavalleria si formava il quadrato, sia da fermo che in marcia, armando le baionette e sostenendo l'urto.
Finalmente comparve il fanciullo Armando tutto avvolto in una pelliccia, e condotto a mano dal suo uomo. Questi, rivolto al conte Mandello, Sua eccellenza, disse, ha de' strani capricci, e facendo un tal freddo, avrebbe fatto meglio a lasciare il fanciullo in palazzo, che egli sa bene come questo ragazzo si mette giù ammalato per poco. Che cosa volete, è fatto così; ma sbrigatevi.
Eravi poi una creatura che sempre, a dispetto de' suoi terrori, le richiamava il Lautrec; una creatura per cui provava un effetto particolarissimo: il fanciullo Armando, la cui immagine infantile ella avea fatto ritrarre da uno scolaro di Raffaello, e che ogni tanto contemplava con una passione ineffabile, la quale tanto più facevasi forte, quanto più doveva star nascosta, che sarebbe caduta morta di vergogna, se al Palavicino fosse trapelato mai nulla di quanto era accaduto.
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