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Aggiornato: 9 giugno 2025
Era il taxillo una specie di bietta di pino tagliata a modo di cuneo, larga su la base, acuta in cima, e intrisa di trementina e di pece. Il diavolo trasformato in frate domenicano inventò nella Spagna cosifatto tomento. Spagna! Infelice paese dove la superstizione arò così profondo, che, anche in questo moto maraviglioso dei popoli verso il meglio, gl'Iberi paiono condannati a rappresentare per lungo tempo nel mondo la parte di centauro, mezzo uomo e mezzo bestia. Dove sono i figli dei prodi cavalieri, sempre pronti a ferire torneamenti e a correre giostre in onore delle dame? Dove i discendenti degli avventurosi baroni, capaci di sostenere mirabili imprese per uno sguardo della bellezza? Dove i baccellieri di armi, che co' loro gesti famosi somministrarono gentile argomento ai versi di romanzo? Tacciono le armi e gli armori; gli Arabi scomparvero sotto le rovine dello Alambra; a questi splendidi cavalieri subentrarono gl'incappucciati fratelli del Santo Uffizio, nobil gente avvilita, la quale non trovò mezzo altro più acconcio per ripararsi dai tormenti, che farsi anch'ella tormentatrice. Mirate, di grazia, dove l'hanno condotta i frati: nuda fino alla cintura, coperta dello scapulare la faccia, con fruste armate di triboli, stupida e insana si flagella sotto le gelosie delle donne amate, nè si rimane finchè dalle aperte vene non le sia sgorgata larga pozza di sangue, e di sangue non abbia resa nera la sferza, che poi mander
CINTIA. Nol dite che sia una puttana, ché ve lo manterrò con questa spada mentre arò spirito a reggerla. Non m'avete voi confessato che la prima notte che giaceste seco, godeste le primizie della sua virginitá? come è or dunque una puttana vecchia?
LIDIA. Io non ho altro schermo contro il dolore che la vostra sofficienza e amorevolezza, e con ciò resto in vita; però vi priego per quella cosa che voi piú amate al mondo, che quando ragionarete con Cintio me lo facciate intendere, accioché con le mie orecchie ascolti la sentenza che mi condannerá a morte. AMASIO. Orsú, quando arò l'agio ve ne renderò avisata.
Ma avèrti, accioché non abbiamo a far questione poi, che, ingannandolo con i falsi, mi arò guadagnato i buoni. FORCA. Hai ragione, lo credo, che accompagnando la tua presenza con vesti riccamente addobbate, che farai miracoli.
FORCA. Padron, perdonatemi, sète stato frettoloso a credere ed estimar vostro figlio e un amico come Alessandro, un assassino ché l'uno vi fu sempre ubidientissimo e l'altro venti anni un buon vicino, e me per un ladro, che v'ho servito venti anni fedelmente. FILIGENIO. Eccoti i cento scudi: almeno non arò rimordimento di conscienza di aver fatto cosa con malizia.
POLISENA. Or poiché l'amate tanto, vostra sia; e farò che don Ignazio ve la conceda. DON FLAMINIO. Con una medicina mi sanarete due infermitá, di amore e di gelosia; e vi arò sempre obligo delle due vite che mi donate. DON IGNAZIO. O madre, non vi promettete tanto di me, ché ancorch'io volessi non potrei. POLISENA. Ben potreste, sí. DON IGNAZIO. E s'avesse il potere non avrei il volere.
MANGONE. Lasciatela a me, ché ve ne arò assai obligo.
TRASIMACO. Troppa ingiuria fai tu alla mia liberalitá, ché sai che non tengo le mani chiuse, quando bisogna. Portami la risposta e vieni a mangiar meco, ch'io fra tanto farò porre in ordine e arò protezion del tuo ventre. GULONE. E io fra tanto porrò in ordine l'appetito. TRASIMACO. Vuoi che ci sia della lacrima? GULONE. Della lacrimissima. TRASIMACO. Del greco? GULONE. Del grechissimo.
Ma perché non debbo io piangere? che consolazione arò piú in questa vita? deh, perché non la lascio? perché non m'uccido per disperato? PANURGO. Padrone, ricordatevi che la disperazione è ruina delle speranze; e il ricorrere che si fa piú tosto alle lacrime che a' rimedi, è di persona vile e che non vuole che i desidèri si conduchino a fine.
CINTIA. Giá s'è partita. Non mancava altro agli affanni miei! La fortuna non comincia per una sola: a tempo che non so se debba viver un'ora, arò pensiero dell'altrui vita. Misera, che farò, qual sará il pensier mio? Non credo che viva anima cosí tribulata nell'inferno come la mia: resto al mondo per un infelice essempio d'ogni miseria.
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