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Aggiornato: 19 maggio 2025


Suo padre gli avea fatto fare studii per la diplomazia: e il principe era stato, per due anni, nella Ambasciata di Parigi, come segretario. Poi era tornato a Napoli: e l'Europa avea avuto un diplomatico di meno. A questo proposito, dobbiamo raccontar al lettore.... Ci si stia bene a udire.

Mentre così si avvicinavano a Roma, ecco occorrere a Federigo una magnifica ambasciata del Senato e del popolo romano, che ammessa alla sua presenza così cominciava: «Gran Re, noi, di straniero che eravate, vi abbiamo sollevato all'onore di essere cittadino, e Principe nostro;» e così continuavano, fino ad esporre per patti della sua incoronazione il pagamento di cinquemila libbre di oro, e la concessione al Senato di reggersi come meglio gli piacesse. Federigo, a mala pena contenendosi, tutto infiammato nel volto rispondeva: «Roma o omai gran tempo che è convertita in nudo nome; voi mentite, se osate affermare me essere vostro Principe per elezione della vostra volont

Onde, per saper il vero di questo fatto, bisogna che aspetti o che ti svegli dal sonno o che tu digerisca il vino e che i vapori non ascendano al cerebro. GRANCHIO. Ed io vi dico che vigilando fui in casa di Gerasto e vigilando feci la vostra ambasciata, e, vigilantemente e stando in cervello, mi dissero che eravate giunto e me ne féro tornare a dietro.

Benchè gli tenessimo tutti gli occhi addosso, e fosse quella probabilmente la prima volta ch'egli compariva, in carattere ufficiale, davanti a un Ambasciata europea, non mostrò ombra d'imbarazzo. Sorbì lentamente il suo , mangiò dei confetti, parlò nell'orecchio al suo ufficiale, s'aggiustò due o tre volte sul capo il suo turbantino, osservò attentamente tutti i nostri stivali, lasciò indovinare che si seccava; poi si strinse sul petto, accommiatandosi, la mano dell'Ambasciatore, e tornò verso il suo cavallo colla stessa gravit

Non era stupito del cattivo esito della sua ambasciata; conosceva il conte da molti anni e sempre lo aveva trovato superbo e caparbio, e sempre ne aveva ammirato quasi con timore l'arte del sofisma, l'abilit

Giuliano, avuta l’inattesa ambasciata, in immensum elatus, come dice Ammiano, non pone tempo in mezzo, e muove, con tutti i suoi soldati e con seguito di gente innumerevole, verso Costantinopoli. Era una letizia, un trionfo non mai veduto. Sembrava la processione di un dio. Il passaggio dalle ansie di una guerra terribile, combattuta per l’impero, alla pacifica consacrazione col consenso di tutti, era stato tanto rapido da parere un miracolo. «Quando, narra Ammiano, si seppe, a Costantinopoli, del suo prossimo arrivo, uscì ad incontrarlo il popolo tutto, senza distinzione di sesso e di et

A lui n'andò Veneroso Doria, amico e fautore dei Fregosi, come tutti gli altri del suo casato, e ottenuta la presenza dei collegati, espose, in nome di tutti i Doria, la sua ambasciata. Rammemorata l'antica amicizia delle due genti e i maritaggi che tratto tratto erano sopraggiunti ad unirle in parentado, non dubitò di noverare alcune recenti e vicendevoli offese.

Ma gli fu risposto con parole riverenti, e fermo proposito; che Martino, uditi gli oratori di Sicilia, replicò ch'e' facean come i manigoldi intorno a Cristo: «salutavanlo re dei Giudei, e davangli uno schiaffo .» E tal era alla corte di Roma, se non la prima ambasciata, certo una rimostranza indirizzatale dopo la sua ammonizione o dopo la prima scomunica, la quale rivolgesi ai padri coscritti, così chiama i cardinali, partecipi della piena potest

Quel gran re di Taprobana, a cui per fortuna di mare fu trasportato un liberto, cioè Annio Procamo, finanziere de' dazi del Mar Rosso, a tempo di Claudio imperadore, da' racconti di questo uomo, che gli narrò la grandezza dell'impero romano, non prese motivo di maraviglia, se non quando vide ed esaminò le monete romane, e le trovò tutte d'una bontá e peso, benché d'impronti diversi, e per conseguenza fatti da piú d'un principe o magistrato; dal che argomentando la giustizia di grandi monarchi, mosso però da disiderio d'averne amicizia, mandò a Roma quella solenne ambasciata, che Plinio diffusamente racconta al capitolo 22 del sesto libro.

«Bel Cavalierefavellò Carlo facendosi presso a Ghino «tu dunque ci prometti una battaglia prima di entrare in Benevento?» «Cavaliere di ventura, pensi ch'io mi sia aggiunto ai tuoi nemici per vederti trionfare?» « più gradita, più cortese ambasciata potevi farci di questa; abbine in guiderdone questo nostro stocco....»

Parola Del Giorno

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