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Aggiornato: 23 giugno 2025
Ma.... interrompe Alberada. Ascolta, continua Ildebrando. Ti manderò in oratore a Salerno con l'abate di Cluny. Col
Alberada si stringe nelle spalle, volge la testa verso il cielo che le mandava un raggio di sole dall'abbaino, e non risponde. Ildebrando continua. Per rimandarti libera al priore di Lacedonia come messaggiera di pace. Mio Dio! L'ami tu dunque colui? È mio marito, checchè voi ne pensiate in contrario. Taci, non dirlo, grida Ildebrando di voce convulsa digridando.
E facendosi venire innanzi Roberto, Giselberto gli dice: « Senti, Roberto, se tu mi avessi chiesta l'anima mia, io avrei voltate le spalle al mio angelo custode e te l'avrei data senza patti: ma tu mi hai domandata Alberada, gli è bene dunque che mi stii attento ad ascoltare.
Sì bene, risponde Roberto; traetevi altrove, signori e tu altresì, Boemondo, col molto riverendo padre che accompagna l'abate. Boemondo ed Alberada si ritirano allora in uno scompartimento della tenda, attiguo a quello dove Ugone e Roberto dovevano favellare e non saprei dirvi quanto Alberada ne fosse contenta.
Ah! « sclama Gregorio mordendosi le labbra e convellendosi nella persona per reprimersi » tu dunque gliene davi il consiglio? Ben facesti, Alberada, concubina del priore di Lacedonia, ben facesti. Appartatevi dunque; e tu abate di Cluny, fa perchè si rechi qui il castellano della Mole d'Adriano. I due legati escono, ed il camerario introduce Gisulfo principe di Salerno.
Seppi però dominarmi, o almeno il credetti, poichè tu mi dici che il segreto periglioso mi scappò pure dalle labbra. Ora non se ne parli più. Fu un momento d'aberrazione che con molte lagrime ho pianto poi; fu una colpa che di pena terribile ho pagata. Non se ne parli più, e guai, Alberada, guai a te, guai a colui cui questo tristo segreto fosse svelato.
Mai! mai! sclama Alberada fra sè, uscendo dalla sala, mio Dio! che si richiedeva dunque da me! Allora sotto l'uscio della stanza il priore le si accosta all'orecchio e dice: Alberada, deggio favellarti.
Ed Alberada a lui: Messer abate, la beatitudine di papa Gregorio è un infame. Ildebrando mi tendeva laccio codardo, che Iddio nella sua immensa misericordia ebbe piet
Nè santo per affliggersene. Ma se io, a vero dire, non dormo meno tranquillamente sotto le censure della Chiesa, i miei vassalli non la pensano come i vostri, Roberto. Così che mi misi alquanto in angustie, e confessai ad Alberada le mie dubbiezze. Ella, che voi sapete quanto sia generosa, si offerse rappattumar tutto col papa, meglio col suo cancelliero Ildebrando. Dell'animo di costui ella aveva capito alcun poco l
Vi domando perdono, ser abate, risponde Gisulfo, se vi aspreggiai di parole, ed a voi altresì, priore di Lacedonia. Roberto agì da forsennato. Alberada era innocente. E sì dicendo il principe Gisulfo porgeva una mano all'abate, un'altra al priore, e si alzava dalla mensa. I suoi ospiti lo seguivano.
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