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Aggiornato: 13 maggio 2025
Appena in salvo alla riva, non trovando più il suo cavallo, stramazza d'arcione Aroldo, monta sull'animale di quello, comandando: Sorprendiamo cogli arcieri dalla parte della valle! Aimone! Aimone! Dov'è Aimone? Cercate di lui e dite che suoni a richiamare tutti i duci vicino a me! Bonifacio osserva: È troppo tardi! Qui tutto è perduto! E che? In tutti un impeto solo!
Aimone avrebbe le mille volte voluto una freccia a forargli le orecchie, piuttosto che quelle parole a straziargli l'anima, e chiamava il capitano che lo conducesse al furore di una zuffa, così: Messer Ugo! Ditemi che non è morto! Perchè mi partii dal suo fianco? No, fu lui che mi mandò ad Eleardo! Messer Ugo!... Suonate, la ritirata!
Baldo ancora aspetta coi cavalli! Che aspetta? In quella quattro uomini, gittando l'armi, venivano per la montagna, abbandonate le macchine e lasciati vilmente i compagni. Come videro i cavalieri e il trombetto Aimone, certo si sentirono a mal punto, il perchè due ad alta voce dissero a giustificazione: Aginaldo e Gisalberto sono morti!
Una volta stavo a Fenis in Val d’Aosta per cercare e copiare le scritture murali del castello. L’oste del paese discorreva volentieri e mostrava di saperla lunga. Lo domandai degli antichi signori. Mi rispose con molta sicurezza che il Castello era appartenuto al duca di Borgogna. Rimasi. La Valle d’Aosta appartenne realmente al primo ed al secondo reame di Borgogna, ma fino dal secolo XI passò ai Conti di Savoja nè più mutò padrone. Fenis poi, era feudo dei signori di Challant; il castello fu edificato da un Aimone di Challant verso il 1350, nè più uscì della famiglia finchè questa non andò estinta sul principio del secolo corrente. Tutta la vita castellana del castello di Fenis appartenne dunque alla Casa di Challant, spenta la quale, il castello decadde in cascinale ed il padrone, di signore in semplice proprietario. Come mai la remota dominazione borgognona aveva potuto far scordare la recente signoria dei Challant, e la perdurante sovranit
Venne il giorno, sì: quello in cui l'araldo bandì doversi prestare l'omaggio al signore. Ugo stava ai piedi della chiesa nella sua curte: c'erano pure messer Ildebrandino, Baldo, Aginaldo, e tra gli scudieri Aimone.
Si avvicinarono Ildebrandino ed Ugo, e siccome Aimone stette per porsi dietro ad essi, Ildebrandino, cogliendo l'occasione di più chiarire il suo animo e applicando il motto che ci si guadagna ad accarezzare il cane per il padrone: Scudiero disse: avete capegli bianchi e l'essere invecchiato presso messere Oldrado so quanto valga.
Quello che avvisa i saluzzesi di accorrere al portone! disse superbamente l'araldo, e suonò verso la valle, e vide che dopo lo squillo si muoveva un drappelletto di cavalieri... Che? Un'insegna? Un'insegna quadra di comando. Fosse...? Era l'insegna dì Ugo. Aimone staccò la tromba dalle labbra e guardò. Per una via Ugo veniva.
Aldigero, Ugonello, Oddone, sono fuggiti alla valle! e con artifìcio: Voi che avete tromba, dove siete stato? Il capitano ci mandò in cerca di voi. Presto, suonate! ad avvisare i saluzzesi! e si dispersero nel bosco. Dio volesse che fosse come voi dite! lamentò Aimone. Pensiamo ai vivi replicò Oberto con ambizione: Due dì fa l'impresa fu cominciata da tale che aveva sproni d'argento!
E voi sapete com'io sia povero diavolo, ad onta dei servigi che ho fatto ad Oldrado. Tu! tu ami l'oro! Bonello, questo è castigo d'Iddio! Tu puoi! Ma io ti risparmio il delitto! Ti amò messer Oldrado! ed Ugo diedesi a chiamare: Aimone! Aimone! È inutile, messere. Ho preveduto, è spacciato, e non risponde più. Io non consento, Bonello, che tu perda l'anima in modo così vile!
Io mi precipitai dalle scale, ed ecco occorrermi il mio fedele Aimone. Messere, siamo perduti! Per Dio! ditemi! fate qualcosa! E quegli dubitava: Ricorrere alle armi... Ricorriamo al tradimento! E che fece egli con me? Per Dio! e mi accordai con lui, e conclusi: Dammi un pugnale avvelenato, e tu a tempo sbatti la porticina nel corritoio. Messere sì!
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