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Dormono i nidi ed i fragili fiori Posan col capo languido che pende, Si confondon le forme ed i colori... E l'ombroso vial qualcuno attende. Il gracile tuo corpo lotta fiera Brevemente pugnò: Ma vinse alfine L'alma alata e fuggì. Misera fine, Vittoria altera! L'alma fuggì pari ai fulgenti versi Che uscìan da te quasi inconsciente e ignaro E se ne andavan per le vie dispersi Del mondo avaro

Di tal fiumana uscian faville vive, e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebrïate da li odori, riprofondavan nel miro gurge, e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. «L’alto disio che mo t’infiamma e urge, d’aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge;

Di tal fiumana uscian faville vive, e d'ogne parte si mettien ne' fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebriate da li odori, riprofondavan se' nel miro gurge; e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. <<L'alto disio che mo t'infiamma e urge, d'aver notizia di cio` che tu vei, tanto mi piace piu` quanto piu` turge;

57 Non fu da indi in qua rider mai visto: tutte le sue parole erano meste, sempre sospir gli uscian dal petto tristo, ed era divenuto un nuovo Oreste, poi che la madre uccise e il sacro Egisto, e che l'ultrice Furie ebbe moleste. E senza mai cessar, tanto l'afflisse questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.

Poiché a Parigi allora era l'andazzo di commedie, di critiche e romanzi, e il popol n'era ghiotto anzi pur pazzo, perché fosser riforme a quelli dianzi. Marco in su' fogli venia pavonazzo, Matteo del scrittoio fuor non creder stanzi; sicché ogni mese uscían da' torchi al varco due tomi: un di Matteo, l'altro di Marco. Ma potean ben su' fogli intisichire, a' librai furbi alfin l'utile andava.

Al suon di pifferi Di sirvente e di mandòle Tarantelle e cavalloggie Alternavansi a spagnole; E, vedute dalle loggie, Quelle genti a più colori Un gran mazzo ti parevano In cui vita aveano i fiori. Nelle chiese c'era l'organo, Avean trombe i cavalieri, Ma la musica del popolo Era quella dei trovieri E le libere parole Uscian fuor delle mandòle.

Di tal fiumana uscian faville vive, e d'ogne parte si mettien ne' fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebriate da li odori, riprofondavan se' nel miro gurge; e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. <<L'alto disio che mo t'infiamma e urge, d'aver notizia di cio` che tu vei, tanto mi piace piu` quanto piu` turge;

Di tal fiumana uscian faville vive, e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebrïate da li odori, riprofondavan nel miro gurge, e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. «L’alto disio che mo t’infiamma e urge, d’aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge;

Vidi apparir sulla strada romana Che le rovine del Foro discende, Su scalpitanti cavalli una strana Torma di spirti, il fior delle leggende. Uscian dall'urne ove giacciono i morti Quale ciascuno il tempo seppellì: Chiusi nell'armi venivano e forti Entro i sereni splendori del .

giacciono a 'l fondo estinte da gran tempo ne 'l gelo; e le lor membra avvinte che splendean senza velo, quelle membra ove i lievi fiori de 'l sangue allora uscían brillando fuora come rose tra nevi, e li occhi ove saette avea certe il disío, e le bocche perfette ove più d'un bel dio trapassando per Colco piacquesi a lungo bere, e le chiome leggere che segnavan d'un solco