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Questa fiacchezza, di cui fa memoria Turpino, della dama dopo il male, che scemò alquanto la furia e la boria d'andare in posta tosto alla bestiale, non è inutile affatto per la storia, oltre all'esser la cosa naturale: fatto sta che Turpino in quella villa ferma la dama, e assai cose postilla. Prima sopra a quel medico antedetto va compilando alcune coserelle.

Cosí dicea Dodon sempre risibile, chiamando Carlo Man bestia pettegola, ed adducendo il detto vero ancora: che dalla testa il pesce puzza ognora. Deggio tacervi molte circostanze che in cifera Turpino lasciò scritte, e non s'intendon piú le antiche usanze di quelle cifre dal tempo sconfitte.

Io non saprei ben dir da che nascesse la ragion de' rimproveri in que' tempi, e perché l'ecclesiastico dicesse con fondamento a que' del secol «empi», e perché il secolare anch'egli avesse ragion di taccia a' direttor de' tempi. Non avea torto il vescovo Turpino, e non l'aveva Rugger paladino. Mancava la pietá ne' secolari, in conseguenza l'util della Chiesa.

Piú oltre non vo' dir della materia, ch'oggi forma la storia del re nostro; dico sol ch'è ridotta una miseria, ch'io mi vergogno a consumar l'inchiostro. Ma sopra tutto la faccenda seria, cambiati paladini, è il fatto vostro, e che in casa pel figlio e per la figlia e per la suora non abbiate briglia. Era Turpino rigonfiato e avria quattr'ore ancora seguitato a dire.

Sostenevan parecchi, come cani: Matteo non fu d'accettar persuaso. Altri giuravan, picchiando le mani, che rifiutato al certo era rimaso. Que' di Matteo di nuovo fanno fronte, e gridan saper tutto da buon fonte. E se non fosse che Turpino scrisse di questo fatto il vero dell'arcano, ancora ci sarebbon delle risse a' nostri tempi fra qualche cristiano.

Questo fu: state cheti e m'ascoltate. Perché di Pietro piú ne sapea Cristo. Turpino scrive che le sputacchiate, a questa distinzion tra Pietro e Cristo, furon tremila cento e settantotto, e che rise Dodon che gli era sotto. Ma ripiglio la storia. Il fraticello de' costumi del secol predicava. Sedea Terigi proprio in faccia a quello, che con gli occhi suoi tondi l'ascoltava.

23 Scrive Turpino, come furo ai passi de l'alto Atlante, che i cavalli loro tutti in un tempo diventaron sassi; che, come venir, se ne tornoro. Ma tempo è omai ch'Astolfo in Francia passi; e così, poi che del paese moro ebbe provisto ai luoghi principali, all'ippogrifo suo fe' spiegar l'ali.

La mia vena innocente, che cercava solo di spassarsi nel partorir le immagini delle quali si era impregnata sulla lettura del suo Turpino e in una taciturna e universalissima osservazione sugli uomini, ebbe alquanta stizza.

E le preghiere e il desiderio esposto, Turpin rispose: Caro paladino, io veggo a gran cimento tu m'hai posto: conosco di Marfisa il cervellino, e temo esporre a troppo grave rischio le monachette con quel bavilischio. Era Turpino un vecchierel scarnato, con naso grande, adunco e pavonazzo, ciglia avea grosse e collo sperticato, come un Scipio African d'un tristo arazzo.

79 Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi; che prima ritornar voglio a Parigi, e de la gran sconfitta seguitarvi, ch'a' Mori diè Rinaldo e Malagigi. Quei che fuggiro io non saprei contarvi, quei che fur cacciati ai fiumi stigi. Levò a Turpino il conto l'aria oscura, che di contarli s'avea preso cura.