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La chiesa era bella; era tutta un arazzo d’argento, un portico d’oro; i ceri si moltiplicavan tremando nel fuoco del tesoro inaccessibile; da ogni pietra saliva in Cristo l’anima del pellegrino inginocchiato.

Vorrei un seggiolone a grandi borchie, colla pelle che s'accartoccia a lasciar sfuggire l'imbottitura, vorrei un coroncione da frate sul dossale, e un arazzo a' piedi, e un liuto con una corda spezzata, e due fiori appassiti. Vorrei stancarmi nel contemplare e nel pensare: vorrei chiudere gli occhi a poco a poco, e aprire l'anima ai sogni e sentire una musica che blandisce, ed odorare un profumo. Strana cosa è il sonno!... Sento una calma, un riposo, una vicina oscurit

La chiesa era bella; era tutta un arazzo d’argento, un portico d’oro, un teatro follemente lussuoso della umana povert

Poichè c'è stato, non son neppure trent'anni, tale periodo d'ignoranza, di vera barbarie, che, nelle case più signorili, un vecchio arazzo magari serviva di scendiletto, e un bel cuoio cordovano istoriato andava a foderare il tendone della loggetta.

La stanza in cui si trova è una prigione: ormai la sua vita sembra un tristo cammino, del quale le prigionìe sieno le colonne milliarie per distinguerne gli spazii. L'aspetto della stanza apparisce strano a vedersi: splendido è il letto per cortine ampissime di damasco, e cornici dorate; ricopre il pavimento uno arazzo rappresentante Enea, che ascolta i presagi maligni dell'arpia Celeno: sopra una rozza tavola di albero stanno vasi e bacili di argento: le pareti squallide, e tracciate col carbone dalle sentenze, che la tristezza, o l'ira, o il rammarico spremono dal cuore del carcerato... stille di essenza di angoscia, uscite fuori per la gran forza dello strettoio della necessit

E d'una principessa innamorata, Da ognun respinta e fiera del suo fallo... E la descrive amazzone, a cavallo Passare per la strada ombreggïata Amorosa sedere in sul terrazzo All'ora del tramonto a Lui vicino, Poi sollevare uscendo dal giardino Con la piccola mano il greve arazzo.

E le preghiere e il desiderio esposto, Turpin rispose: Caro paladino, io veggo a gran cimento tu m'hai posto: conosco di Marfisa il cervellino, e temo esporre a troppo grave rischio le monachette con quel bavilischio. Era Turpino un vecchierel scarnato, con naso grande, adunco e pavonazzo, ciglia avea grosse e collo sperticato, come un Scipio African d'un tristo arazzo.

Il povero diavolo andava a comprarsi una camicia che l'antico proprietario non aveva creduto degna neppur delle funzioni di strofinacciolo di cucina, oppure scampoletti per toppe: l'antiquario, con un coraggio non comune, si sprofondava in quei cumuli di pulci e ragnateli, per cavarne qualche bel velluto stratagliato del Quattrocento, qualche cortinaggio di broccatello trapunto in oro, qualche prezioso arazzo fiammingo.

Davanti a queste tribune la balaustra marmorea, e sotto, gentiluomini che portavano i più bei nomi di Roma. A sinistra il trono papale con un arazzo disegnato da Raffaello sul fondo e drappeggiamenti di velluto e oro; a destra la tribuna su cui stavano i cantori della Cappella Papale in rocchetto bianco.

Diffatti, poco lunge dal salone da ballo, Ariberti si incontrò coll'amico Filippo, e fu una ventura per ambedue, che si vedevano tanto di rado. Eccoci qui, disse ridendo Ariberti, come due cavalieri del Gobelins, spiccati da un arazzo, ma per far sempre tappezzeria. Tu non balli; io neppure... Eh, quanto a me, si capisce; interruppe Filippo; la gravit