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Nessuno sapeva bene chi fosse Quintino, di dove venisse; ma però, cosa strana, pareva a tutti, anche ai nonni, anche ai più vecchi, anche al campanaro che aveva quasi cent'anni, d'averlo veduto sempre e sempre così, fino da quando durava loro la memoria, con quel cappellaccio a tre punte e le maglie stinte, e lo credevano sempre lo stesso.

Una seggiola, due, tre, cinque le ebbe superate; superò anche l'ultima e fu su, in cima: ma quando volle rizzarsi facendo il braccio di ferro colle gambe all'aria, gli scivolò una mano, le sedie si smossero, mancò l'equilibrio a tutto l'edificio e Quintino precipitò riverso a terra, battendo di tutto peso col corpo sul lastrico, mentre le seggiole gli cadevano addosso sulla testa e sul petto.

Ogni volta che Quintino, così solo nel mondo, pensava a quella bicocca, sentiva dei brividi di freddo corrergli per tutto il corpo, e quando la ricordava, prima di addormentarsi sotto un albero nell'estate, o in un fienile o sui gradini di qualche chiesa nell'inverno, egli si faceva fremendo il segno della croce.

Cadeva un'acquerugiola fitta fitta, minuta, ghiacciata. Quintino non aveva più nemmeno la giacca di frustagno; l'aveva dovuta cedere ad un bracciante in cambio di una fetta di polenta.... A confronto suo. Marco Minghetti poteva proprio dirsi un signore, e Quintino glielo fece notare. Coraggio, Marco! tu hai la pelliccia, come un conte, come un riccone sfondato.

L'avevano chiamato Quintino, perchè bisognava trovare ad ogni costo una parola che, mentre ricordava al pover'uomo tutta la sua miseria, lo insultasse, e facesse ridere; e la parola fu trovata.

L'esistenza di Quintino era simile a quella di un bandito perduto in una macchia, senza un pensiero della vita, senza un desiderio, senza mai una speranza; e alle volte cercava invano una goccia d'acqua, mentre bruciava dalla febbre, cercava invano un mucchio di paglia mentre cadeva sfinito dalla stanchezza.

Quintino si fermò smarrito, sgomento, e guardò Marco Minghetti che fissandolo a sua volta guaiva a mezza voce. Ma intanto i lumai cominciavano ad accendere le lucerne e, dall'altra parte della piazza, Quintino potè notare, sotto un breve porticato a due archi, la luce rossastra d'un caffè e scorse della gente che stava ferma attorno alla porta della bottega. A tal vista si consolò tutto. Dopo di essersi soffiato nelle mani per riscaldarle, allungò, battè le braccia con tutta forza attorno al petto saltando sulla neve per stirare le gambe che avea aggranchite nelle maglie fradice d'acqua, e, attraversata la piazza, si avvicinò a quei signori che stavan l

Era un uggioso spettacolo. Pareva che quella maglia di un rosso scialbo e stinto dalla pioggia e dal solleone, coprisse uno scheletro. Quando scattavano in salti e capriole o si allungavano o si torcevano, le ossa del saltimbanco pareva che scricchiolassero. Era un pagliaccio ben triste quel povero Quintino!...

Quintino lo capiva, e quando guardava Marco, accarezzandolo colle mani lunghe ed ossute, i suoi occhi rivelavano una tenerezza infinita. Come l'uomo, anche la bestia era triste e meditabonda. Quintino diffondeva la sua melanconia su Marco; e tutti e due, confusi nello stesso dolore, parevano maledetti dallo stesso destino.

Nelle acque dei laghi i cloruri sono scarsi, e quasi tutto il deposito è fatto di solfati, prevalentemente di calcio. Non mi venne fatto di rinvenire magnesia. I solfati sono pure abbondanti nel residuo dell'acqua della sorgente Quintino Sella, mentre i cloruri sono in tenuissima quantit