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E su tutto, sui campi infiniti e sui paeselli perduti, un umido intenso, una tristezza plumbea, una distesa persa, che non chiamiamo cielo, ma chiamiamo oblìo. E si intorbida sempre più la squallida alba del Natale.

La vecchia era persuasa. Di nascosto però seguitava a piangere e pregare. Martino intanto, persa la solita parlantina (questo più che tutto sgomentava sua moglie), sollevandosi un poco sui guanciali ben coperto di lana e di pelli, guardava per la finestra i monti opposti, separ

E il priore? Il priore? è l'unico che non abbia persa la testa. Almeno, è il più grave di tutti. Dica il più pericoloso, signor Prospero. Perchè? Lo conosce forse? Non di persona; ma ho avuta la sua fotografia.... ed anche parecchie informazioni sul conto suo. È un ferrarese.... Ah, lo avrei dovuto indovinare all'accento. Ma più ancora alla stranezza della sua fantasia.

Dice: Regazzi! pronti, su le scene. Com'entramo, li fischi se spregorno. Ah, dico fra de me, comincia bene! Basta, dopo li fischi, er sor Fusaja, Tutto quanto vestito de velluto, Dice: Ma dunque è ver? Tutto è perduto? Pur troppo, sire, è persa la battaja! E su la reggia fiocca la mitraja. Je fece un antro. E lui: Sangue de Pruto! Dice, la guerra è persa?

Un cribro in mano la dongella tiene, d'acqua ripieno, e goccia non si versa, che di la turma luntanata viene, gridando forte: Non far, alma persa, non far; se 'l fai, tu sol n'avrai le pene, ché non sai quella via quant'è perversa. Ma qui piuttosto volge a la man destra, che da l'errante volgo altrui sequestra. A la cui voce giá lo entrato piede ritrassi al modo di chi un serpe calca.

La costa era sparsa di lumicini giallosi, la ghiaia chiara, la sabbia persa e su questa i ciottoli lucenti come pezzetti di specchio. Se c'era la luna! Luna nuova, luna crescente, plenilunio, luna scema: tenera, falcata, o tonda, sfumava giù il suo lustrore ed ondoleggiava nell'acqua cheta o scappava su mille creste guizzanti. Se c'erano le stelle!

Le nostre tende, il bagaglio sparso in diversi punti, le capanne improvvisatevi d'attorno dai servi con pochi rami e pelli, tutti i buoi, muli e boricchi concentrati in diversi gruppi, i gruppi di beduini accovacciati attorno ai grandi falò che illuminano la scena persa nella solitudine di una valle, fra monti coperti da foreste abitate da fiere: in qualche brigatella si canta, in altra si dorme, in alcune si balla e qualche volta si alternano le danze ad esercizii di scherma, fingendo alcuni di attaccare un nemico che si difende colla propria lancia e collo scudo, facendo finte, assalti, retrocedendo, avanzando, inginocchiandosi per essere coperto dallo scudo, fingendo cadere ferito per poi alzandosi d'un tratto riattaccare di sorpresa il nemico, e di quando in quando interrompendo questa fantastica scena con grida acute e con battimani.

Rubichea mia: poi che la sorte adversa Non vol che 'l mio disio iusto habbi luoco Ma tua faticha e mia servitù persa: Vol che sia: & ambe dua: tenuti a giuoco: La flebil vita mia: sia sempre immersa In lagrime: in sospiri: in laccio: in fuoco E se non trovo alcun: che mi conforte Con queste propria man: darommi morte. Rub.

Giá è persa la medicina che sola mi poteva recar salute; molte vane speranze m'han lusingato fin qui; or pongo fine allo sperare, non ingannare piú me stesso. PANURGO. Vòlgeti a me. ESSANDRO. Ho annodata la fune e or me l'adatto al collo. PANURGO. Chi t'ave imparato, il boia? ESSANDRO. La disperazione! Vuoi tu alcuna cosa dall'altro mondo?

No, non fia ver, che senz'amore al mondo Volga tua vita abbandonata e sola, Qual pèrsa gemma ai neri flutti in fondo, Qual bianco giglio in solitaria aiuola: Quant'alto è il cielo, e quanto il mar profondo, La forte ala d'amor penetra e vola, tu vorrai, leggiadra e debil tanto, Chiuderle il petto, e dar la vita al pianto.