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tal mi fec'io a quell'ultimo foco mentre che detto fu: <<Perche' t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco? In terra e` terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli. Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro>>.

D'i Serafin colui che piu` s'india, Moise`, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t'appariro, ne' hanno a l'esser lor piu` o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir piu` e men l'etterno spiro.

Tu m'hai con disiderio il cor disposto si` al venir con le parole tue, ch'i' son tornato nel primo proposto. Or va, ch'un sol volere e` d'ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro>>. Cosi` li dissi; e poi che mosso fue, intrai per lo cammino alto e silvestro. Inferno: Canto III Per me si va ne la citta` dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.

e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine, onde le fiere tempie erano avvinte. E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l'etterno pianto, <<Guarda>>, mi disse, <<le feroci Erine. Quest'e` Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro e` Aletto; Tesifon e` nel mezzo>>; e tacque a tanto.

Come la scala tutta sotto noi fu corsa e fummo in su 'l grado superno, in me ficco` Virgilio li occhi suoi, e disse: <<Il temporal foco e l'etterno veduto hai, figlio; e se' venuto in parte dov'io per me piu` oltre non discerno. Tratto t'ho qui con ingegno e con arte; lo tuo piacere omai prendi per duce; fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

Che voce avrai tu piu`, se vecchia scindi da te la carne, che se fossi morto anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi', pria che passin mill'anni? ch'e` piu` corto spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia al cerchio che piu` tardi in cielo e` torto. Colui che del cammin si` poco piglia dinanzi a me, Toscana sono` tutta; e ora a pena in Siena sen pispiglia,

Gia` eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l'animo con essi, e da ogne altro intento s'era tolto. E quella non ridea; ma <<S'io ridessi>>, mi comincio`, <<tu ti faresti quale fu Semele` quando di cener fessi; che' la bellezza mia, che per le scale de l'etterno palazzo piu` s'accende, com'hai veduto, quanto piu` si sale,

Quello infinito e ineffabil bene che la` su` e`, cosi` corre ad amore com'a lucido corpo raggio vene. Tanto si da` quanto trova d'ardore; si` che, quantunque carita` si stende, cresce sovr'essa l'etterno valore. E quanta gente piu` la` su` s'intende, piu` v'e` da bene amare, e piu` vi s'ama, e come specchio l'uno a l'altro rende.

che la` dove ubidia la terra e 'l cielo, femmina, sola e pur teste' formata, non sofferse di star sotto alcun velo; sotto 'l qual se divota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima e piu` lunga fiata. Mentr'io m'andava tra tante primizie de l'etterno piacer tutto sospeso, e disioso ancora a piu` letizie,

Quello infinito e ineffabil bene che la` su` e`, cosi` corre ad amore com'a lucido corpo raggio vene. Tanto si da` quanto trova d'ardore; si` che, quantunque carita` si stende, cresce sovr'essa l'etterno valore. E quanta gente piu` la` su` s'intende, piu` v'e` da bene amare, e piu` vi s'ama, e come specchio l'uno a l'altro rende.