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Noti il lettore che il patriota d’allora non era il patriota d’oggi; il quale, se falso, vanta servigi non mai resi alla patria, o incombenze non mai ricevute o disimpegnate: vanti e lustre onde si sale ad alti e ben rimunerati ufficî.

Un cronista d’oggi farebbe sapere che questi bravi signori, volta per volta facevano servire di lauti rinfreschi gl’illustri intervenuti; noi, che non siamo cronisti e non iscriviamo per giornali, non ne diremo nulla. Peraltro è risaputo che a quei tempi non si riceveva mai dai nobili senza splendidi trattamenti eseguiti da servitori in livree fiammeggianti; non supporlo poi nelle sale di quei fiori di ospitalit

Le fogge per gli uomini, tolte piccole modificazioni, rimanevano sempre le stesse, e per oltre mezzo secolo inalterate. Si guardino un poco i ritratti del tempo in un salone magnatizio d’oggi, e si trover

Alcuni vi si appassionavano a tal segno che ogni altra cura passava per loro in seconda linea. Il giuoco era fascino morboso, ossessione. Lunghe ore del giorno, intere notti, essi rimanevano attaccati a quelle sedie, a quelle tavole: gli occhi avidamente fissi sui gruzzoli di monete che facevano monticelli nel centro; lo spirito tremebondo al muovere di una carta, dalla quale dipendeva la sorte loro, della loro famiglia. Il ricco d’oggi poteva non esserlo più domani; senza testamento, l’ultimo giocatore diventare il facile erede d’un feudo. L’eguaglianza di ceto regnava sovrana tra disuguali per censo; ogni cuore chiudevasi alla piet

Le due musiche di strumenti a fiato che allietaronla costarono 100 onze; e la neve consumata pei gelati fu 40 carichi, come a dire cinque migliaia di chilogrammi d’oggi. Vedi Villabianca, Diario ined., a. 1799, pp. 354-56.

Il regime costituzionale d’oggi si trascina tra inchieste governative su centinaia di comuni del Regno, ed offre, pascolo a curiosi ed a maligni, ad onesti e a disonesti, operazioni losche, furti, ingiustizie, favori indebitamente concessi, ovvero negligenze, guardate attraverso a lenti d’immensurabile ingrandimento.

Quando la colpa esigeva maggior pena, c’era il pubblico esempio: tutti gli scolari di tutte le classi, in un atrio, messi in quadrato, assistevano al cavallo come i soldati d’oggi alla degradazione d’un loro camerata indegno. Il Buon Pastore era l’istituto scolastico dove la mitezza era bandita; i regolamenti, in tutto il significato, eran disumani.

Esisteva ab antico in Palermo e, contro il malvolere del Governo, prosperava un’Associazione detta del grano. Pagando un grano la settimana, quattro il mese (in moneta d’oggi, otto cent. di Lira), una famiglia godeva il beneficio dei medici per le malattie, della sepoltura per la morte. Che razza di medici dovessero aversi a questo patto, è facile immaginare! La celebre Giunta dei Presidenti e Consultore, il 5 marzo 1783 scrivea esser più d’una le opere del grano, per le quali gli ascritti «talvolta sono assistiti da imperiti medici che servono a rendere perpetue e più micidiali le malattie del popolo»³⁸⁹. Da siffatta istituzione volle trarre partito il Governo per un’assistenza medica ai poveri mettendo a profitto l’opera disinteressata dell’Accademia di medicina. La contribuzione del grano fu lasciata volontaria; si chiamarono per ciascuno dei quattro quartieri due bravi fisici ed un cerusico, retribuiti, quelli con 60 onze l’uno, questi con 20. Agl’indigenti furono concessi sussidî anche in danaro; ed ai morti, esequie e sepoltura. Semplice la burocrazia: un razionale ed un esattore; ben praticamente composta una deputazione di vigilanza per quartiere: il parroco, un cavaliere, un mercante, un forense, il qual ultimo ebbe la direzione del servizio, che per siffatto organamento procedeva pronto ed attivo. Basta vedere il programma viceregio del 21 aprile 1783 per comprendere come i nostri vecchi intendessero la beneficenza pubblica, la quale era nobile gara di carit