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Era un bel giorno di state nel 1836. Sul declinare quel era stato limpidissimo oltre l'usato, ed il clima tutto fuoco veniva rattemprato da fresco venticello marino; una festicciuola domestica aveva avuto luogo in quel giorno, ed in essa si erano moltissimo rallegrati danzando coi negri Antonio, il giovinetto Carlo e la vaghissima Ofelia, tutti e tre figli di Giovanni e di Rosina. Sotto le benefiche ombre dei banani e dei cocchi, nel parco del palazzo, aveva avuto luogo la danza. Quando il sole si avvicinò all'occaso una frugale refezione era stata imbandita ai danzatori sull'erba fiorita. Mille augelli di variopinte piume facevano risuonare l'aura di melodiosi concenti. Sotto un padiglione di verzura stavano assisi il governatore e Rosina col ciglio umido per pianto di tenerezza nel mirare tanto allegri i teneri figliuoletti; e la stessa eternamente malinconica Angiolina si era quasi lasciata abbandonare dalle tetraggini, a quelle amabili scene. Dalle vicine boscaglie ad un tratto si era udito il suono flebilissimo di un liuto ed una voce di donna soavissima aveva intonato la seguente patetica canzone: Per il mondo vanno errando Madre e figlio abbandonati, Nulla, ahi! nulla omai sperando Fuorchè sterile piet

Il sire e la sua donna, ignorando la causa di tanta tristezza, per letiziarlo chiamarono alla corte i più famosi buffoni e danzatori della cristianit

Da quel fascio pendevano varie figure tagliate nel cuoio e rappresentanti il Sole, lo Spinto buono, lo Spirito cattivo e altri simboli. I danzatori resistettero tutta la notte e finchè risplendette la luna si volsero con la faccia e coi gesti ad essa; ma appena spuntò il sole, Gheezis, voltarono le spalle alla luna e si misero a complimentare l'astro maggiore. Così seguitarono tutto il giorno.

Il campo che viene preparato è ordinariamente di cinque miglia di circonferenza: alla festa accorrono da otto a dieci mila indiani. Davanti alla tenda, dove i danzatori devono aspettare gli ordini per eseguire il loro programma, giace un cranio di bufalo contornato da erbe selvatiche e da altri emblemi strani e misteriosi.

Per lo stesso motivo, non possono essere ammessi alla assoluzione i suonatori che presenziano i danzatori in questi balli, a meno che non promettano di abbandonare questo loro mestiere.

Se uno mostrava stanchezza, veniva condotto all'ombra e gli si permetteva di aspirare due o tre boccate di fumo da una pipa, oppure gli si faceva masticare un pizzico di salvia selvatica per facilitargli la salivazione. Intorno ai danzatori, gli indiani se ne stavano spettatori indifferenti, rosicchiando pan nero e bollito di cane portato dalle loro donne in sudici recipienti di latta.

A mezzogiorno preciso di un lunedì di luglio, arrivarono i danzatori del Sole, quindici in tutto, per sciogliere i loro differenti voti. Essi si chiamavano: Segue una donna, Vive nell'aria, Buco grandissimo, Vitello bianco, Segna a tre, Cane maschio, Piccolo giorno, Ragazzino, Corno vuoto, Aquila, Tettoia, Aquila doppia, Giallo, Povero cane e Falcone battagliero.

I danzatori intanto offrivano uno spettacolo orribile: essi continuavano a saltare, esausti, coperti di sangue, col fischietto sempre stretto fra le labbra inaridite. Nessuno si ritirò se prima non compì il voto e non sopportò la sua pena fino all'ultimo. Nessuno domandò soccorso si lasciò sfuggire un gemito.

Vedendolo astratto e non sapendo che dirgli in uno di quelli intermezzi che occorrono frequenti dove son molto numerose le coppie dei danzatori, la marchesa Maddalena incominciò un discorso intorno alla conversazione fatta pur dianzi. Che angelica creatura è la Ginevra! disse ella con molto candore, pensando davvero quel che diceva. Aloise non rispose.

Amavano la danza, e saltavano spesso, cantando certe loro canzoni, che accompagnavano col suono d’una specie di tamburo, fatto d’un tronco d’albero scavato, su cui era una pelle distesa. Il suono del tamburo non era sicuramente così piacevole all’orecchio dei danzatori, come il tintinnio di quei piccoli sonagli di rame.