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Quì sto, prima per istampare la mia difesa circa l'accusa appostami d'idolatria; e poi se i quattrini mi ci arrivano, vo' dare una capata a Torino per dire al Cocchiere che si è messo a cassetta: fratello, con queste bestiaccie che hai attaccato al carro fa di adoperare frusta, e briglie perchè altrimenti, io dubito forte, che te, e noi non iscaraventino in qualche precipizio; di' loro: voi siete al verde, imperciocchè convoca l'assemblea se le cose hanno da procedere in regola bisogna, che deponiate il vostro potere nel seno di quella che è il principe: ad ogni modo voi avete a cessare dopo il voto dell'annessione, vogliamo dire unione col Piemonte: smettete via la voglia di volere morire a uso Argante.

Lassù don Apollinare avea in casa l'Alemanno e Bianca; i quali, tornando dalla loro passeggiata, solevano andarsi a posare da lui, quasi ogni giorno. E Bianca conversava con donna Placidia, alla quale pareva persona di poco cervello, tanto era sempre assorta e tarda alle risposte: lo sposo se ne stava in un altro lato del salotto con don Apollinare, ascoltando i racconti che questi gli faceva, sulla caduta dei feudatari di quelle parti. Accertava il prete, che gli uomini non erano vissuti mai tanto felici, quanto ai tempi di quei buoni signori; e affermava che delle anime ne andavano salve in una di quelle generazioni, più che in dieci dei tempi di poi. Intanto per rallegrare l'ospite, gli narrava dell'ultimo signorotto di certo castello, che si vedeva diroccato su di un poggio poco discosto. Diceva raccontando che colui aveva saputo essere uomo pio e insieme buontempone; e che era arrivato cogli anni vicino agli ottanta, senza un dolor di capo. Ma, quasi agli ultimi mesi di sua vita, gli si era innestato il capriccio di non volere certe grinze in sulla faccia, che sapeva lui di che danno gli fossero, e quanto avrebbe dato per potersele levare. E si lagnava di questo guaio in guisa così noiosa; che alfine un suo servitore si mise in capo di uccellarlo e beccarsi i quattrini. Un giorno, mentre che il messere era nel buono del lamentarsi, gli disse in gran segreto, che egli sapeva d'un certo unto, che gli poteva rifare le guance fresche come a vent'anni; ma che per averlo occorreva sciogliere i legacci alla borsa. Pigliati la borsa intera! rispose il messere, fuori di dalla gioia; e dato al servitore quello che gli parve, n'ebbe l'unto. La sera del sabbato se ne fece spalmare la faccia per bene, proprio da lui, prima di coricarsi. Il ribaldo lo lasciò colla buona notte, e col divieto di specchiarsi per quattro giorni, pena di perdere il frutto del filtro: e il messere dormì sognando il bel viso che avrebbe avuto l'indomani, giorno appunto di festa. Uscito di buon mattino, fu grato in cuor suo al servitore, che aveva preso cura di portar via gli specchi; e subito andò in chiesa, a farsi ammirare dal contadiname raccolto alla messa. Gongolava vedendosi guardato con meraviglia, e pensava che quasi non lo ravvisassero dal tanto che era mutato: ma il cappellano quando si volse la prima volta a dire il dominus vobiscum, e vide il feudatario nero in faccia come la pece; diede in una risata così pronta e sonora, che uomini e donne stati fino a quel punto colle labbra tra denti, dalla tema di ridere e buscarsi dal padrone chi sa che pena, fecero coro al sacerdote; e, salvo il rispetto dovuto al luogo, fu una vera scenata. Il feudatario strabiliò, imbestialì, seppe com'era concio; e quando intese che il servitore se n'era fuggito sin dalla notte alle proprie montagne, dove egli non avrebbe potuto nulla contro di lui, per poco non iscoppiò dalla rabbia. Ma quasi più del mal gioco, gli spiacquero le risa del cappellano; e passata la collera, studiò giorno e notte per trovar modo di ricattarsene con usura. Non venendone a capo, pensò nulla essere meglio del promettere e giurare perdono al servo gabbatore; patteggiando per via di messi che l'avrebbe ripigliato in castello, se egli riuscisse ad uccellare il cappellano, ma in guisa da ridere un anno. Il servitore, avuto il giuramento, rivenne; e stette poco a macchinare una ribalderia peggiore della prima. Abitava il cappellano in una casetta, accanto alla chiesa a pie' del palazzo; e soleva andare a veglia dal signorotto, donde usciva ad ora tarda, dopo aver giocato e bevuto molto. Però prima di ritirarsi, non mancava mai di passare in chiesa a dire l'orazione, e ad aggiungere olio nella lampada se bisognava. La sera fissata tra il servitore e il feudatario ai danni del cappellano; fu fatto alzare il gomito al poveretto, il quale uscito da veglia vicino alla mezzanotte, volle tuttavia andare in chiesa; dove, fosse o paresse, vedeva pei finestrelli i ceri tutti accesi. Appena ebbe aperto, e messo il piede sulla soglia, fu colto da un religioso terrore, e corso a pie' dell'altare, cadde ginocchioni adorando. I ceri erano proprio tutti accesi; e sopra il tabernacolo, vestito di bianco, stava coll'ali aperte un angelo, che al cappellano parve disceso dal paradiso. «O Santo uomo disse colui dopo essere stato un tantino a vedere: tu hai abbastanza pregato, ed in premio hai da venire con me» «Sia fatto il vostro volererispose il prete, con un filo di voce, sebbene pensasse d'andarsene in paradiso. «Ma prima, tu lo sai, bisogna morire; soggiunse l'altro dall'altare però non temere di nulla, che vedrai come la morte sia dolceIl prete s'inchinò; un'ondata di sudore gli colò dal dorso in sulle reni; diede una capata sui gradini dell'altare e svenne. Allora il servitore del signorotto, buttò via le ali e i panni bianchi; e fattosi adosso al cappellano, lo ficcò in un sacco, ve lo legò dentro per bene, e se lo recò sulle spalle; poi lesto lesto lo portò nel pollaio. Entrato l

Dite anche giusto ed umano, soggiunse mastro Bernardo con impeto, che in tutta la nobilissima stirpe dei signori Del Carretto non è il più leale, il più degno dell'amore e della venerazione del popolo. Tu lo ami molto, a quel che pare. Messere, che dirvi? Siam povera gente e si conta nulla; ma se bisognasse buttarci nel fuoco per lui.... E mastro Bernardo fece l'atto di dar la capata.