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Noi siam di voglia a muoverci si` pieni, che restar non potem; pero` perdona, se villania nostra giustizia tieni. Io fui abate in San Zeno a Verona sotto lo 'mperio del buon Barbarossa, di cui dolente ancor Milan ragiona. E tale ha gia` l'un pie` dentro la fossa, che tosto piangera` quel monastero, e tristo fia d'avere avuta possa;

La lunga agonia della moglie del senatore Alessandro Zeno; il triste via vai dei parenti, degli amici, degli indifferenti; le estreme cure date dal marito e dal figlio al cadavere della morta; tutti i minuti particolari, fino al ritorno dall'accompagnamento al cimitero, che d

Io che mi ero un po' inalberato leggendo quella specie di settecentesca visione che chiude il capitolo intitolato Arcobaleno, non mi aspettavo però di veder intervenire un sogno (l'autore non può far a meno di chiamarlo: miracoloso sogno ammonitore) perchè riuscisse meno ostico il mutamento finale del Vecchio. E a questo punto non bisogna più dire il senatore Alessandro Zeno, ma soltanto il Vecchio. Egli è divenuto una entit

Partitosi lo Zeno dalla corte persiana, si diresse alle rive del mar Nero, dove, noleggiata una nave genovese di Luigi Dal Pozzo, corse pericolo di essere tradito e consegnato agli Ottomani, se Andrea Scaramelli di notte tempo accostandosi secretamente con una barca alla nave, da quella non lo avesse levato, e condotto incognito a Caffa, insieme ad un di lui servo chiamato Martino.

Scriveva quindi lo Zeno il 30 di maggio 1472 al capitano generale Pietro Mocenigo, essere egli arrivato in Tauris al 30 aprile, aver trovata la più liberale accoglienza dal re e dalla regina, e la migliore disposizione di muovere nella Caramania e verso le coste contro gli Ottomani. E pregava il capitano generale di accordare passaggio ad un nuovo legato persiano, che Uzunhasan spediva a Venezia.

Da questo momento si avvicinarono e parlarono sotto voce. Il sole tramontava ed essi erano ancora nella medesima posizione; a Lizzola suonò l'avemaria: si divisero e Giovan Bello, portandosi alla Roncaglia, camminò verso Bondione mentre Sabina ritornava a casa. La sera Zeno, ch'era solito andare da Bortolo, stette in casa anch'egli.

Il veneto oratore dovea presentarsi al re di Persia insieme a Caterino Zeno, «per rendere più cospicua e solenne la ambasceria; ed esporgli, che la repubblica da dieci anni era in guerra col Turco deliberata di sostenerla e proseguirla d'accordo colla Persia sino all'ultimo eccidio del comune nemico; che aveva rifiutata ogni proposizione di pace; che l'armata veneta e la collegata aveano gi

Con queste due commissioni veniva incaricato lo Zeno di andare in Persia, per la via di Cipro e di Caramania, insieme al legato Mirath, e di mostrare a quel re il contento della repubblica per la sua potenza, e la perfetta sua disposizione di concorrere coll'armata navale in pieno accordo e lega con lui. Doveva pure lo Zeno giustificare le incamminate trattative di pace, accolte dietro domanda del Turco e in mancanza di ogni notizia dalla Persia, ma con lieto animo opportunamente a tempo reiette. Gli fu ordinato di portar seco un dono di panni d'oro da presentarsi ad Uzunhasan, e di visitare la regina, nonchè il signore di Caramania ed il re di Georgia. Finalmente egli ebbe incarico di rilevare e descrivere tutte quelle minute informazioni che potesse avere: della potenza del re di Persia, della sua et

Ma come? Non sapeva questo il senatore Alessandro Zeno? E ci voleva un miracoloso sogno ammonitore per rivelarglielo? E doveva egli arzigogolare tanto, per venire poi alla risoluzione di finirla con quella sua esistenza, che infine non era cattiva?

A mezzanotte circa si decisero finalmente a coricarsi. Zeno per il primo salì di sopra, salutando Sabina come non faceva mai: quindi lo seguirono anche le donne, con un grande fracasso di zoccoli, dopo aver disposto le rocche fra un travicello e l'altro del soffitto. Stavano così bene l