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Aggiornato: 16 giugno 2025
La mattina seguente, essendo Emilia a colazione colla zia, le fu presentata una lettera, di cui, al solo indirizzo, riconobbe il carattere; la ricevè con mano tremante, e la zia domandò tosto donde venisse. Emilia la disigillò con suo permesso, e vedendo la firma di Valancourt, gliela consegnò senza leggerla. La Cheron la prese con impazienza, e mentre la leggeva, Emilia procurava d'indovinarne il contenuto nei di lei sguardi; gliela restituì quasi subito, e siccome gli sguardi della nipote domandavano se potesse leggere: «Sì, leggete, leggete, figliuola,» le disse con minor severit
La mattina le fece domandare a che ora avrebbe potuto riceverlo: quand'essa ricevè il biglietto, era col conte, che approfittò del nuovo pretesto per riparlarle di Valancourt. Vedeva la disperazione della giovine amica, e temeva che il coraggio l'abbandonasse. Emilia rispose al biglietto, ed il conte ritornò sul proposito dell'ultima conversazione.
Emilia, rammentandosi allora il cambiamento del conte, dopo aver passata la notte in quel luogo misterioso, ne riconobbe il motivo. Non fece nuove interrogazioni a Lodovico, lo mandò a riposare, e diede le disposizioni necessarie per ricevere i suoi amici. La sera, Teresa quantunque zoppa, venne a portarle l'anello di Valancourt.
Quella notte Emilia non potè chiuder occhio. Valancourt intanto era in preda all'angosce della disperazione. La vista di Emilia aveva rinnovata l'antica fiamma, indebolita solo leggermente dall'assenza e dalle distrazioni d'una vita tumultuosa.
Emilia era sì agitata dalla prossima speranza di rivedere Valancourt, che passarono alcuni minuti prima di poter rispondere. Finalmente, non seppe indicare un luogo più sicuro del corridoio. Fu dunque stabilito che il cavaliere sarebbe venuto quella notte nel corridoio, e che Lodovico avrebbe pensato a scegliere l'ora.
Ed io! di tante e tante altre,» rispose Valancourt; «non vi ho mai lasciata senza ricordarmi subito dopo d'una domanda, d'una preghiera, e d'una circostanza relativa al nostro amore, ch'io ardeva dal desiderio di comunicarvi, ma che mi sfuggiva dalla fantasia appena vi vedeva.
È come una melodia lontana in mezzo al silenzio delle notti, come le tinte raddolcite di questo paesaggio.» Poscia, dopo una pausa, continuò: «Io ho sempre creduto le idee più lucide a quest'ora che in qualunque altra, ed il cuore che non ne riconosce l'influenza, è di certo un cuore snaturato. Vi son tanti....» Valancourt sospirò.
Ma, a proposito, che fa adesso quel caro signor Valancourt? Sta bene?» Emilia, agitatissima, non le rispose; Teresa continuò: «Dio lo ricolmi di benedizioni! Mia cara padrona, di grazia, non siate meco così riservata; credete voi ch'io non sappia ch'egli vi ama? Quando foste partita, veniva sempre al castello. Com'era afflitto!
Valancourt aspettava impaziente la fine della frase, ma le parole le spirarono sul labbro: i suoi occhi nullameno manifestavano tutte l'emozioni del di lei cuore; Valancourt passò rapidamente dall'imbarazzo alla gioia. «Emilia,» esclamò egli, «mia cara Emilia. O cielo! come resistere a tanta felicit
«Ecco qua il cavaliere Valancourt, signora,» le disse sottovoce; «di grazia ritiriamoci.» La zia si alzò, ma il giovane le aveva raggiunte; egli salutò la signora Cheron con rispetto, e sua nipote con dolore.
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