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Aggiornato: 14 luglio 2025
Era un vivere tormentoso, un continuo crucciarmi di non poter essere contemporaneamente dappertutto, di perdere forse la mia fortuna per un minuto di ritardo o d'anticipazione. Correvo sempre, la sera mi sentivo morire di stanchezza e l'implacabile cuore mi martellava ancora: «va, va!» Intanto era venuta la fine di aprile.
Giovanni Episcopo parla così; e lungo l'intero lavoro il suo accento non muta. Racconta casi assai diversi da quelli dell'uffiziale russo diventato strozzino. Nessuna rassomiglianza può notarsi tra Benigna e Ginevra, tra il dramma del vigliacco marito di questa e quello più elevato, più tormentoso del marito di Benigna... Eppure a chi ha letto Krotkaïa par di sentir narrare un'identica storia.
E tornò a traversare borghi e castelli, non provando molestia di fame o di stanchezza. Più camminava più gli pareva di diventar forte e fresco; al sole non badava nè al polverio, nè ad altro: arrivare a D.... ecco lo sprone che gli si era fitto nell'anima, più acuto, più tormentoso di quello, con cui egli insanguinava i fianchi al cavallo; il quale se gli fosse bastata la lena, quel giorno di certo non avrebbe odorato biada nè fieno, prima d'essere a D.... Ma alla fine se non la compassione del cavaliero, potè la stanchezza; e il povero animale rallentò da sè la gran corsa. Allora Giuliano si trovò come riscosso da un sogno, che stesse facendo; e alzato il capo si vide in faccia e poco discoste le torri di Alba. La voce del Tanaro gli suonò all'orecchio, come quella d'un amico che gli parlasse, con dialetto somigliante a quello dei suoi monti; e guardando la propria ombra sulla via, gli parve sì corta, che stimò il mezzogiorno molto vicino. Passando il ponte di legno che metteva nella citt
Ecco un dubbio tormentoso per la Censura; la quale, non sapendo trovar modo di liberarsene, ordinava a tutti i librai fissi e girovaghi la presentazione del catalogo delle pubblicazioni in vendita nei loro magazzini. L’ordine non poteva rivelare maggiore ingenuit
Poscia il professore si ritirò nella sua stanza, ordinando che lo svegliassero all'alba, infallibilmente. La notte che Loreta passò fu turbata da mille incubi affannosi. Sfinita dalle emozioni di quella giornata, ora un nuovo dolore ancor più tormentoso s'era impossessato di lei. La speranza estrema, che per un momento ella aveva nutrito dinanzi al contegno calmo di Mattia, era vanita.
I due Ambasciatori e tutti i circostanti rimasero stupiti portando attoniti gli sguardi su di lui: una contrazione di fibre, un pallore improvviso apparvero sul suo volto indicando lo strazio d'un tormentoso pensiero: era l'ultimo saluto ch'egli dava alla bella speranza di regnare.
Quella notte essa non dormì che qualche ora e il sonno fu per lei più agitato e più tormentoso che la veglia. Sentiva che al mattino avrebbe dovuto correr dalla mamma, confessarle l'amor suo per Enrico e pregarla a voler rispondere collo stesso monosillabo di rifiuto al Marchese e all'Ingegnere. Ma non ne aveva il coraggio.
Ecco le visioni dantesche del dolore. Considerate, signori, come fra tante ammirabili forme che vincono i secoli, quelle ci rapiscano a entusiasmi quasi tormentosi nella loro dolcezza, nella loro misura superiore alla parola, le quali ci rappresentano un dolore almeno in parte immeritato, almeno in parte inesplicabile. Quando Dante ci descrive una pena giustamente commisurata alla colpa, mai non si mesce all'ammirazione nostra il sentimento dolce e tormentoso di cui vi parlo. Solo fra i dannati ci commuove così Francesca. Il poeta rappresentò Francesca e la sua colpa per modo che la sua pena eterna non consuona, inconsci o no che ne siamo, con il nostro intimo sentimento della giustizia. La dolce Francesca, che dall'impeto colpevole del volere altrui, d'improvviso, in un momento di oblio, fu tratta al peccato, che neppur nell'Inferno ha smarrito il senso riverente del divino, il desiderio della preghiera, il gentile rispondere dell'animo alla piet
Intravvide, non si spiegò: intese che come a lui era necessario, in quel momento, uno sfogo, ad essi era necessario, in quello stesso momento, l'appagamento di quel tormentoso desiderio. Sentite disse. Io ho conosciuta quella soave donna a Livorno, quattro anni fa. Era una polacca; si chiamava Anna; aveva un marito brutale, e che ne era molto, molto geloso.
Contento in fondo di questa nuova preoccupazione, che lo sottraeva per qualche istante almeno all'incubo tormentoso della propria passione, don Giorgio tornò a volgere lo sguardo sui contadini che ancora aspettavano. Erano due: un giovinetto che faceva il galante con tutte le ragazze del circondario, e Sandro Rampoldi. Sandro si era tenuto per ultimo. Segno di ripugnanza.
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