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TIGEL. Nol provocare a sdegno mai: tu molto puoi sul suo cor; ma, piú che amor, può in lui impeto d'ira, ebrezza di possanza, e fera sete di vendetta. Or vanne: meco in quest'ora ei favellar quí suole: ogni tua cura affida in me. POPPEA Ti giuro, se in ciò mi servi, che in favore e in possa nullo fia mai ch'appo Neron ti agguagli.

Ma di ogni moto popolar, deh! credi che innocente son io. NER. Rea, qual ti sei, pria di punirti, io voglio che ogni uom te sappia. SENECA Ed ingannar tu speri con turpe menzogna il popol tutto? NER. Tu pur, tu pure, instigator codardo dei tumulti, che sfuggi; ascoso capo di ribellanti moti; all'ira mia tu pur vendetta un sarai; ma, poca. TIGEL. Signor...

Or altra, ben altra accusa or ti s'aspetta; e il reo, non fra' martir, ma libero, e non chiesto, viene a mercé. OTTAV. Qual reo? Parla. TIGEL. Aniceto. SENECA D'Agrippina il carnefice! OTTAV. Che sento? TIGEL. Quei, che Neron d'alto periglio trasse: fido era allora al suo signor; tu, donna, traditor poscia il festi.

TIGEL. A te narrarli niun uomo ardí: ma, da tacersi sono, or che da te repudiata a dritto, piú consorte non t'è?

E se in furor si volge? è breve il passo. Mal si resiste a una cittá; supponi ch'io co' miei forti cada; in tua difesa chi resta allora? NER. È ver... Ma, il ceder pure parrebbe... TIGEL. Or credi a me: periglio grave non far di lieve: il sol tuo aspetto forse può dissiparli appieno. NER. ... Io di costei rimango a guardia.

Da' suoi torbidi amici appien disgiunta, quí di mie guardie cinta la vedrai, non tua rival, ma vil tua ancella: e in breve, s'io del regnar l'arte pur nulla intendo, ella stessa di se palma daratti. POPPEA Comun periglio oggi corriam; noi dunque oggi cercare, o Tigellin, dobbiamo comun riparo. TIGEL. E che? d'Ottavia temi?...

Intimorirti a tempo e incoraggirti a tempo, a me s'aspetta. Guai, se vien tolto a te il timor del tutto! Al mal oprar qual piú ti resta impulso; qual freno allora al ben oprar ti resta? TIGEL. Signor, deh, perché dianzi non giungevi? Udito avresti il singhiozzar di donna, che troppo t'ama. Aspra battaglia han mosso nel cor tenero e fido di Poppea dubbio, temenza, amore.

OTTAV. Entro mie vene serpe giá un fero tosco... NER. E donde?... POPPEA Or mio davvero, Neron, tu sei. NER. Donde il velen?... Tu menti. TIGEL. Creder nol dei; severa guardia... SENECA E puossi deluder guardia; e il fu la tua. Gli Dei scampo ai giusti non niegano. OTTAV. Mi uccide il tosco in breve; e tu il vedrai: pietoso ecco chi 'l diede; anzi, a dir ver, gliel tolsi.

POPPEA ; ma frattanto un passeggiero lampo può di favor sforzato ella usurparsi. Ci abborre Ottavia entrambi: a cotant'ira qual ti fai scudo? il voler dubbio e frale di un tremante signore? A perder noi solo basta un istante; a noi che giova, se cader dobbiam pria, ch'ella poi cada? TIGEL. Che un balen di favore a lei lampeggi, nol temer, no: di Neron nostro il core ella trovar non sa.

TIGEL. Ciò far vogl'io: ma il mezzo ottimo a tanto effetto in cor giá fitto Neron si avr