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Aggiornato: 15 giugno 2025


Sul cammino c'era un po' di tutto: tegami, scodelle, bocce, minuzzoli di pane, la scatola della cera da scarpe e perfino un tovagliuolo tutto infrittellato d'unto e di caffè; il tavolino, le seggiole erano coperti di filiggine; e nella mezzina mandavano gli ultimi tratti due mosche.

Va bene, va bene; il più grosso, sentiamo il più grosso. Ventidue lire alla calzoleria inglese, per un paio di scarpe gialle, di bulgaro. E poi? E poi?... Di' tutto. Hai la fortuna di avere una madre buona, generosa e che, a tempo debito, sa anche perdonare. E poi? Giacomino pensò, ripensò.

Da noi, molti fanciulli non possono andar a scuola perchè mancano di scarpe. Lasciate finire il vecchio di Meffilld interruppe Mary. Egli diceva: «Quando un paese come la Francia scrive in testa dei suoi codici che non è ammessa l'ignoranza della legge, non fa che sancire una triste e odiosa finzione, se non procura che ognuno sia obbligato di studiare le istituzioni che reggono il paese.

E debbono accontentarsi di pranzare in un'osteria a due lire, di dormire in una cameruccia mobiliata, e magari di cercarsi un sovraccarico di lavoro per potersi pagare i vestiti e le scarpe, e passar la serata a fare delle traduzioni, o tenere in ordine il libro mastro di un negozio. E pochi anni prima andavano in carrozza...»

Battistone e il Cavaliere presentarono insieme il braccio all'Erminia, che li prese tutte e due. Le scarpe del Cavaliere stridevano come nelle grandi occasioni, e Battistone, sentendo quel braccio leggero e delicato sul suo e quel profumo delicato dei capelli, non potè sottrarsi a un confronto ripugnante, Gli pareva d'aver sul braccio un panierino di fiori.

Comprò delle vesti fragili e fini, e delle vesti morbide e lunghe, e delle vesti diafane e deliziose. Comprò dei grandi cappelli flosci a lunghe piume; dei cappelli che nessuno prenderebbe sul serio. E poi comperò delle scarpe in cui era quasi impossibile camminare.

Ogni sforzo per rialzarsi fu vano; riusciva a mettersi ginocchioni, ma i piedi erano inerti e rigidi. Si levò le scarpe e le grosse calze dure incrostate di ghiaccio, immerse i piedi nudi nella neve agitandoli con quanta forza gli durava. Bisognava bene che tornasse la vita!

Non s'imaginano certo. La chiave dell'usciolo? Eccola. Il coltello? Per ogni buona sorte, l'ho preso. Bravo! continuò Paolino. Possiamo arrischiarci. E si misero in cammino. Fecero circa tre chilometri in mezzo alla campagna deserta, non curandosi del tempaccio e del fango che copriva la strada. Paolino sentiva l'acqua entrargli per i fori delle scarpe.

Ci vuole buona carne, buon brodo, buon pesce... Imparerai a far la spesa, venendo con me, nei giorni che io sarò impedito. I macellai sono ladri, e i pescivendoli peggio. Occorre aprire tanto d'occhi. Mentre io reciterò l'uffizio, tu lustrerai le scarpe e gli stivali, ogni giorno, e spazzerai le stanze, e spolvererai i mobili, i quadri..., delicatamente. Gli stivali, pei giorni di pioggia, devono essere sempre pronti. Dieci paia di scarpe e cinque paia di stivali. Monsignore dice che gli stivali non sono da sacerdoti... Ma l'umido del fango, se mai, non se lo prende lui, e i reumi neppure. Alla mia salute devo badare io. Se mi buscassi un malanno, non verrebbe Monsignore a togliermelo di dosso... E il letto? Sai rifare un letto? La mattina, si disf

Suonammo alla porta d'una di queste case che aveva l'aria più pulita e modesta delle altre. Una donna aprì. Mi guardò; guardò il mio cappello e le mie scarpe. «Cosa voletedisse. «Una stanza» cominciò Aldo. La donna chiuse la porta senza rispondere. Nella casa vicina una donna avvolta in uno sporco accappatoio di seta rosa, si affacciò alla finestra: «Se cercate stanze», disse, «qui ce n'è.

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