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Aggiornato: 25 novembre 2025


Denina, Rivoluzione d’Italia. E a lui l’ambasciatore:

Sarebbe difficile dire quali fossero esattamente le intenzioni dell'autore di Roberta allorchè egli scrisse, tra il 1896 e il 1897, quel romanzo. Certo, non intendeva compiere una rivoluzione letteraria, fondare una scuola; scriveva allora così sinceramente, per impeto di passione e per commozione d'animo, come scrive oggi.

Il re e i suoi dottrinari non erano disposti a secondare la rumorosa corrente bramosa di guerra. Erano troppo chiaroveggenti per non discernere, che un'impresa di conquista sul Reno avrebbe sommerso la stessa corona borghese: «la guerra è la rivoluzione», soleva dire Luigi Filippo: ed erano troppo freddi e pedanti calcolatori, per avvertire e intendere in qualche modo il movente generoso, che si nascondeva indubitabilmente nel delirio della brama di guerra. Si chiarì, purtroppo, anche rispetto alle questioni estere, quanto fossero insostenibili le dotte comparazioni tra il 1688 e il 1830. Laddove la gloriosa rivoluzione inglese era maturata in virtù del favore datole dall'Europa settentrionale tutta protestante, la quale aveva ricondotto quasi spontaneamente lo stato, da una condizione malsana di vassallo, entro la cerchia dei suoi alleati naturali, all'opposto la Francia moderna all'estero era del tutto isolata. Il governo si ostinava sconsigliatamente a tenere una situazione mediana fra i trattati del 1815, che non poteva annullare, e la Rivoluzione, che non poteva interamente rinnegare quale suo terreno originario. In una situazione siffatta, il regno continuò, come sotto i Borboni, a non godere di alcuna autorit

Ma non ci arrestiamo alle apparenze: scaviamo il fondo. L'Italia è donna ed esce da una rivoluzione o, per meglio dire, mette giù la sopraveste della rivoluzione. Le rivoluzioni consumano prontamente.

Eccolo investito da una fiumana di gente che viene nella sua direzione; sono uomini, sono giovani, in parte feriti, colle mani lorde di sangue, in preda ad una grande rabbia, ad un forte sdegno, ad un'immensa paura. Li ravvisa. Sono dessi. L'avanguardia anarchica, che egli ha educato, ha entusiasmato, ha riempito di sete di sangue, di desiderio di rivoluzione.

Vado da Albertina, mi ha detto; proseguiva frattanto il generale. Rinunzio alla colazione, per vedere la funzione della chiesa parrocchiale. Capirete, Maurizio.... Non sono un tiranno, e lascio che Gisella faccia in ogni cosa a modo suo. La gran rivoluzione non deve esser venuta per nulla tra le genti. Ma capirete, ripeto, che questa novit

Ma se a Genova c'erano i più gran rompicolli di tutta Italia, se qui era il centro più temuto e più sospettosamente vigilato della rivoluzione, c'erano anche i più ostinati fautori dell'antico ordine di cose, e forse la più operosa officina della reazione.

Non aveva mai fatto male ad alcuno; a parecchi aveva anzi reso servigio; amava il suo cavallo e si lasciava amare da una ballerina, aspettando che i suoi parenti gli scegliessero quella donna che avrebbe dovuto amare per tutta la vita; andava spesso a ragionare col sarto intorno alle nuove fogge della quindicina; non s'impacciava di politica, ma non poteva patire la compagnia del prete di casa e non parlava mai con irriverenza della rivoluzione, del progresso e degli uomini più chiari per le opere della penna o della spada a servizio della patria.

Era questo il tentativo di rivoluzione che si maturava in Genova; tentativo che egli non aveva caldeggiato mai, ma al quale aveva promesso l'opera sua, in rispondenza alla sua fede politica, e che ora egli affrettava coi voti, come quello che gli avrebbe dato il modo di farla finita, presto e bene, col tedio dell'esistenza.

Che importava loro del decoro nazionale? del sogghigno beffardo di tutte le nazioni Europee, di provincie compre coll'oro, e coll'oro vendute? Essi, avviticchiati ai lucri ed agli impieghi, eran sordi a qualunque proposito generoso che potesse compromettere l'Eldorado a loro consegnato dalla Rivoluzione, che altro per non volle che il bene e l'unit

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