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Aggiornato: 30 aprile 2025
I' mi fermai sott'una macchia ombrosa, mirando l'ape, quinci e quindi sparse, a sacco porre una campagna erbosa ed a vicenda in loco poi ritrarse, ove locar di cera e mèle vidi per cave querze i tetti lor e' nidi. Si non vis intelligi, neque intelligaris, lector.
Eterna primavera qui verdeggia, ché 'n le catene il Tempo giace altrove; aprile quivi e marzo signoreggia, né mai da l'ombre zefiro si move, per cui soavemente sempre ondeggia l'altezza de colline e poggi, dove pini, cipressi, querze, faggi, abeti adombrano vallette e campi lieti. Quivi onoratamente fui raccolto da duo barbati e candidi vecchioni.
LIMERNO. Non senza molta cagione ricondutto mi sono a l'ombra di questo lauro, lo quale, tanto agiatamente difeso da queste duo collaterali querze cosí da venti e procelle come da' raggi de l'ardentissimo sole, al sopranominato giovene con le sue sempre chiome verde fa di sé gratissimo soggiorno.
Or dunque abbassativi, o verdi cime de voi, faggi ed abeti; de voi, lauri e mirti; de voi, querze ed ilici; de voi, viti ed olmi: abbassativi, dico, ad ascoltare questa mia sonora cetra, ma non bastevolmente sonora a l'altezza di quella madonna; ad udire queste mie leggiadre rime, ma non leggiadre al merito di quella dea; a sentire lo mio dirotto pianto, ma non sí dirotto che poscia l'ardentissime faci spegnere de l'affocato core!
La prima regione, ove io col mio maestro abitavamo, giá pienamente dessignata avemo, la quale Carossa fu nominata. La seconda, tutta vaga e ripiena di vive fontane, frondosi lauri, mirti, faggi, abeti, frassini, olive, querze, e d'altri assai bellissimi legni addombrata, chiamavasi Matotta, ove questo Limerno dimorava.
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