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E trangugiando un altro mentale: ho capito! si avvicinò alla porta della stanza, ov'erano entrate poco prima le due donne, e chiamò: Signora Lucia! Il prelato gli si avvicinò, e gli disse all'orecchio: Per ora non le dite chi sono. Lucia entrò nella stanza. Che volete, don Omobono? C'è questo signore, disse il prete, che vuol parlarvi.

Vado nel gabinetto di vostro marito: ho appunto bisogno di parlargli. Accomodatevi, monsignore. Il prelato uscì. La dama rimase sola con Giano. Due madri. La principessa guardò intorno per assicurarsi che nessuno era in quella stanza, fuorchè l'uomo che le stava dinanzi, poi gli chiese: Ebbene? L'ho portato in salvo, rispose Giano. Dove? A Firenze. E perchè hai tardato tanto?

Il prelato si arrestò, curvò la testa, rimase un istante in silenzio, poi voltosi alla principessa: Andate, signora, le disse; voi siete libera di partire. Essa prese Curzio per mano, e traendolo seco, scese precipitosamente le scale, i cancelli della prigione si aprivano l'uno dopo l'altro innanzi allo scritto di monsignor Pagni.

Al fero tuono, ognun d'ambascia stretto Dal suol sorgendo, «Ov'è il fellonchiedea. Da tergo il colpo giunto era su Carlo, E, oh prodigio! non valse ad atterrarlo. «Non si turbi tremi ora il cor mioCon ferma voce ripigliò il Prelato, E in ginocchio rimase a lodar Dio, Ed a pregar pel mostro sciagurato.

La carrozza di monsignore Pagni si fermò in Piazza del Popolo innanzi alla caserma dei gendarmi papali. La guardia uscì fuori; si schierò in parata; furono presentate le armi al prelato; e gli ufficiali scesero ad incontrarlo.

Si alzò, si avvicinò a una tavola; scrisse alcune righe sopra un foglio, volse un ultimo sguardo a Curzio senza parlare, e uscì dalla stanza. Consegnò lo scritto con poche parole a un ufficiale superiore dei gendarmi, che lo accompagnò fino alla carrozza. Prima di salire in legno il prelato porse la sua mano a baciare agii ufficiali, poi ordinò al cocchiere: Al Vaticano!

Ma io non sono prelato, dottore della chiesa; io sono un povero curato, l'ultimo fra gli ultimi nella gerarchia ecclesiastica; e voi potreste supporre che io ripeta da papagallo il testo consacrato dalla Curia senza aver studiata la questione.

No, diss'ella, non m'importa che Curzio sia salvo, ne ho piacere anzi, perchè l'ho amato come un figliuolo, ma il mio Gaetano non dev'essere condannato; non voglio che sia sparso il sangue del mio povero figlio. Povera donna! soggiunse ipocritamente il prelato. Io compatisco il vostro dolore di madre; me ne piange il cuore. Ma la giustizia deve avere il suo corso.

E che puzza gitta questo fructo generato col fiore de l'arbore? Gitta puzza di disobbedienzia; col pensiero del cuore vuole investigare e giudicare in male la volontá del prelato suo: gitta inmondizia, dilectandosi con molte conversazioni col miserabile vocabolo delle divote. O misero, tu non t'avedi che, socto il colore della devozione, riescirai con la brigata de' figliuoli!

È ben vero che in molte altre cose, per lo voto che egli fa nelle mani del prelato suo e perché sostiene piú, piú e meglio gli è provata la obbedienzia ne l'ordine che fuore de l'ordine; però che ogni acto corporale gli è legato a questo giogo e non si può sciogliere, quando egli vuole, senza colpa di peccato mortale, perché è approvato dalla sancta Chiesa e facto voto.