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Quelli che riportano le mani insanguinate per solito sono gl'inquisitori.... e i carnefici! Il giovane avvocato pronunziò codeste parole con tale un tuono sdegnoso, che il giudice si levò in piedi, pallido per la collera, esclamando: Signor avvocato!... In buon punto giunse il servo della principessa, annunziando ad alta voce: Sua eccellenza monsignor Pagni. Il prelato e la principessa.

FACCHINO. che soie mi? SBIRRI. Sei stato in doana? FACCHINO. Non mi. SBIRRI. Che c'è drento? Di' . FACCHINO. Non l'ho visto o verto mi. SBIRRI. Dillo, poltron! FACCHINO. El me fu deccio che 'l ghera seda e pagni. SBIRRI. Sede? FACCHINO. Madesine. SBIRRI. È chiavato? FACCHINO. E' crezo de no mi. SBIRRI. Le son perdute. Posa giú. FACCHINO. Eh! no, misser. SBIRRI. Posa, poltron!

M'intendete, o signore? Monsignor Pagni, colpito profondamente da quelle parole, guardò fisso la principessa; lesse ne' suoi occhi smarriti l'espressione del vero; volse lo sguardo dalla parte ov'era Curzio tutto tacito e concentrato, esclamò: Egli è mio... Tacete! gl'impose essa con un gesto eloquente.

Monsignor Pagni fingeva di non riconoscere la moglie del soprastante muratore, e intanto osservava i mutamenti cagionati dal dolore su quella donna. Il volto emaciato dalle angoscie, gli occhi arrossiti dal pianto continuo non erano più tali da suscitare dei desiderj amorosi. Il prelato sorbiva invece la volutt

ORGILLA. Ben fostú mézzo, sciocco! EPARO. Ben, madonna: che ti manca? ORGILLA. Non altro se non quello che hai tu e non ho io. EPARO. Non so che m'av'é che questi pagni frusti qui di nogona ed una capannuccia a ca' e l'asina di mia moiera. Egghi negotta ancora che sia per ti? ORGILLA. ben che c'è; quell'asina di tua mogliera. EPARO. non g'ho di quella a far negotta é, ché l'è del suoccio.

Anche il giudice Marini, il neo-cavaliere dell'ordine Piano fu presentato a Sua Eminenza come una delle persone più benemerite in quel processo, dovendosi attribuire, come disse officiosamente monsignor Pagni, in gran parte al suo zelo, al suo acume, alla sua operosit

La principessa aveva la morte nel cuore. Essa sapeva come il suo Curzio si trovasse nella fortezza di Civita-Vecchia, e conoscendo il suo carattere, e i motivi della sua detenzione, tremava per i pericoli che gli sovrastavano continuamente, e più tremava per l'avvenire. Se anche riusciva a Monsignor Pagni di tenerlo illeso finchè durava quel malaugurato processo, che avverrebbe dopo quando egli fosse in libert

Perchè dunque egli è rimasto in prigione, perchè dev'essere condannato? Il prelato taceva. Il perchè ve lo dirò io, continuò la povera madre furibonda: perchè in vece di mio figlio avete voluto far fuggire Curzio Ventura; perchè Curzio Ventura è vostro figlio! Silenzio! gridò monsignor Pagni. , vostro figlio! ripetè più forte Maria.

Poi camminando all'indietro, e intercalando quella marcia retrograda con riverenze da minuetto, uscì dal salotto. La principessa e il prelato rimasero soli. Regnò qualche momento di silenzio. Monsignor Pagni fu il primo a romperlo, dicendo: È qualche tempo ch'io vedo una nube sulla fronte della mia cara cugina. Luigia, v'è qualche cosa che vi addolora. Nulla; v'ingannate, monsignore.

Un giorno le fu indicato il palazzo di monsignor Pagni, siccome quello d'uno dei membri più potenti della Sacra Consulta, del supremo tribunale, dal quale dipendeva la causa di suo marito. Ed essa, poveretta, salì anche quelle scale, e chiese di monsignore. Dapprima le fu negato l'ingresso, ma insistè e pianse tanto, che il suo nome fu annunziato al prelato.