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Aggiornato: 26 giugno 2025
PANDOLFO. È giunto qui un astrologo che transforma gli uomini in altre persone. Se tu vuoi lasciarti transformare in un mio amico, ti lascio tre annate dell'affitto che mi rendi della tua villa. VIGNAROLO. E se mi transformo in un'altra persona, che mi servirá quell'utile? lo farai a quello, non a me. PANDOLFO. Tu non sarai transformato se non per ventiquattro ore, e poi ritornerai come prima.
CRICCA. Mi ho fatto gran meraviglia che, sendo cosí avaro, abbiate a donare una volta cinquecento scudi. PANDOLFO. S'io son avaro, son avaro per poter esser poi liberale quando bisogna; ché chi è sempre liberale, all'ultimo non ha che dare. Ma la voglia di posseder Artemisia mi avrebbe fatto dar la vita, non che la robba.
ALBUMAZAR. Orsú, andate, abbiate l'uomo che volete transformare e tornate a me, ché vi renderò pago d'ogni vostro desio. PANDOLFO. Cosí facciamo. ALBUMAZAR. Io intanto col mio stromento iscioterico per via d'azimut e almicantarat cercherò felici ponti per voi. PANDOLFO. Restate in pace!
PANDOLFO. Benissimo, caro Guglielmo. GUGLIELMO. ... E però non ho voluto trattare di matrimoni se non in presenza e col consenso di nostri figlioli e figliole, li quali doppo le nostre morti avranno a succedere alle nostre facultadi; accioché doppo le nostre morti non abbino a dire male di noi e maledirci, come veggiamo fare alla maggior parte de' figlioli quando sentono alcuno disgusto per cagione de' loro padri.
Fuggi presto, scampa la forca che ti sta al presente innanzi agli occhi e non la vedi: ogni cosa è birri e pregione e manigoldo per te, e guai a te se non voli! Vo' cercargli la mancia. Padrone, allegrezza allegrezza! PANDOLFO. Le allegrezze non ponno capir in me ripieno di tante calamitá, ché la maladetta fortuna mi ha colmato di tante miserie.
GUGLIELMO. O mio carissimo Pandolfo, cosí amato e desiderato di vedere! Caro Guglielmo, come sète salvato da naufragio? GUGLIELMO. Sappiate che per andare in Barberia imbarcaimi su una nave ragusea. Il padrone che la noleggiava era uomo di suo capo; e quantunque fusse avisato da tutti li marinari non partisse in tal tempo che minacciava tempesta, pur volse partirsi con la tempesta.
CRICCA. E se mi avete in tale stima, non vi fidate donque di me, ché io non posso esser altro di quello che io sono. PANDOLFO. Potresti volendo, sta in tuo poter l'essere; e però ti ho detto: Se sarai cosí prudente e savio come sei manigoldo, e farai per me quello che cerchi fare per mio figliuolo, avrai altra ricompensa da me ora, che non speri col tempo da mio figliuolo.
Doveva scongiurare ora e aspettava li diavoli, perché dimanda: Chi diavolo batte? È Farfarello. GRAMIGNA. Avete battuto troppo gagliardo, perché li astrologhi sono lunatichi. PANDOLFO. Perché «lunatichi»? GRAMIGNA. Sempre contemplano e parlano con la luna. ALBUMAZAR. Non sono calato piú presto perché stava parlando con una intelligenza mercuriale.
Dimmi, non sei tu il vignarolo? GUGLIELMO. Dico che sono Guglielmo non il vignarolo. PANDOLFO. Anzi tu sei l'uno e l'altro, il vignarolo e Guglielmo, cioè il vignarolo mascherato in Guglielmo. GUGLIELMO. Io non son altro che Guglielmo, e non è or carnevale che vada in maschera. Non ho altra maschera di quella che mi fece la natura.
CRICCA. Avrá ben bevuto l'astrologo, poiché è di vino. GRAMIGNA. «Divino», cioè che sa delle stelle, delli cieli e di cose celestiali, e perché indovina. PANDOLFO. Si potria parlare col vostro indovino?
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