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Dello stesso Io non miro giammai cosa nessuna, o in terra, o in ciel, ov'io non veggia quella, ch'amor in sorte e mia benigna stella, da le fasce mi diero e da la cuna. Ogni nube m'assembra e sole e luna la mia donna gentil più d'altra bella; monte o valle non veggio, o poggio, ov'ella per lo mio ben non sia, ch'è nel mondo una.

Non aveva più piacer più vaghezza, che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi. Senza aver lite mai stemmo gran pezzo: l'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo. 20 Morto il suocero mio dopo cinque anni ch'io sottoposi il collo al giugal nodo, non stero molto a cominciar gli affanni ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.

Fossi morto almeno, di quella stoccata, più pietosa a gran pezza delle vostre parole! E perchè, voi che mi parlate ora in tal guisa, siete accorsa a togliermi di laggiù, ov'io sarei presto uscito di pena? Non mi fate colpa di un uffizio di carit

Donna è gentil nel ciel che si compiange Di questo impedimento ov'io ti mando Si che duro giudicio lassù frange

e quivi, per l'orribile soperchio del puzzo che 'l profondo abisso gitta, ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta che dicea: "Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin de la via dritta". <<Lo nostro scender conviene esser tardo, si` che s'ausi un poco in prima il senso al tristo fiato; e poi no i fia riguardo>>.

I' mi volgea per veder ov'io fosse, quando una voce disse <<Qui si monta>>, che da ogne altro intento mi rimosse; e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta. Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela, cosi` la mia virtu` quivi mancava.

Tu, vezzosa MALVINA, a cui le Grazie Vaghe composer la gentil persona, Nido d'alma più bella, un beasti De' tuoi sguardi le piagge erme e romite Ov'io gi

L'ossario di Solaro ov'io passavo quasi tutti i giorni, e guardando i crani pensavo a te, dicendomi: che cosa è la vita? e dove io ho contemplato quella mano rattrappita e secca, quando avevo sul cuore la lettera che mi avevi scritta e m'immaginavo la tua manina tonda e morbida, l'ossario l'hanno demolito... E noi abbiamo cambiato l'aspetto delle camere, del giardino, ma il mio cuore non muta.

sempre mi stanno innanzi, e non indarno, che' l'imagine lor vie piu` m'asciuga che 'l male ond'io nel volto mi discarno. La rigida giustizia che mi fruga tragge cagion del loco ov'io peccai a metter piu` li miei sospiri in fuga. Ivi e` Romena, la` dov'io falsai la lega suggellata del Batista; per ch'io il corpo su` arso lasciai.

OTTAV. A te rispondo io forse? Tu, Nerone, i miei detti ultimi ascolta. Credimi, or giungo al fatal punto, in cui cessa il timor, il simular piú giova, ov'io pur mai fatto l'avessi... Io moro: e non mi uccide Seneca:... tu solo, tu mi uccidi, o Neron: benché non dato da te, il velen che mi consuma, è tuo. Ma il veleno a delitto io non t'ascrivo.