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Scese da quelle un imbacuccato che fecero salire nella vettura ov'io era e vi salirono pure due carabinieri armati di fucile; e partimmo. Nel prigioniero riconobbi poco dopo Passano. Uno dei due carabinieri era l'ignoto del Lione Rosso.

Vicino a quel cancello a Carate, ov'io venivo tutti i giorni nel 73 a guardare in quel giardino ove tu mi avevi dato un fiore di vainiglia e una foglia spinosa, vicino a quel cancello, ove scrivevo le date e mi pareva d'esserti fedele, hanno alzato un muro.

<<Prima ch'io de l'abisso mi divella, maestro mio>>, diss'io quando fui dritto, <<a trarmi d'erro un poco mi favella: ov'e` la ghiaccia? e questi com'e` fitto si` sottosopra? e come, in si` poc'ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?>>. Ed elli a me: <<Tu imagini ancora d'esser di la` dal centro, ov'io mi presi al pel del vermo reo che 'l mondo fora.

cosi`, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, si` com'io tacqui, l'appostolico lume al cui comando io avea detto: si` nel dir li piacqui! Paradiso: Canto XXV Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, si` che m'ha fatto per molti anni macro, vinca la crudelta` che fuor mi serra del bello ovile ov'io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra;

E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e si` com'al pertugio de la sampogna vento che penetra, cosi`, rimosso d'aspettare indugio, quel mormorar de l'aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio. Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov'io le scrissi.

sempre mi stanno innanzi, e non indarno, che' l'imagine lor vie piu` m'asciuga che 'l male ond'io nel volto mi discarno. La rigida giustizia che mi fruga tragge cagion del loco ov'io peccai a metter piu` li miei sospiri in fuga. Ivi e` Romena, la` dov'io falsai la lega suggellata del Batista; per ch'io il corpo su` arso lasciai.

POPPEA Ed io Neron piú assai tengo in conto, che il trono. Ov'io credessi porlo per me in periglio... Ma, che narri? Assoluto signor non è di Roma Nerone? e fia ch'ei curi un popol vile, pien di temenza, che a Tiberio, a Cajo muto obbedia?... SENECA Temerlo assai tu dei, se non fai che Neron per se ne tremi.

Ma se de gli altrui mal non mai digiuna Fia che la guerra a' miei desir ti tolga, Al mondo non riman sembianza alcuna Di peregrino merto, ov'io mi volga; Tolta da gli altrui guardi, in vesta bruna, Sar

E io a lui: <<Per fede mi ti lego di far cio` che mi chiedi; ma io scoppio dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego. Prima era scempio, e ora e` fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa certo qui, e altrove, quello ov'io l'accoppio. Lo mondo e` ben cosi` tutto diserto d'ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto;

Vivono tuttavia gli uomini che potrebbero, ov'io non dicessi il vero, smentirmi. Accennerò soltanto rapidamente chi mai potrebbe in questi giorni diffondersi in particolari su cose passate? come si preparasse e perchè fallisse l'impresa.