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Aggiornato: 8 giugno 2025
«Questo superbo volle esser esperto di sua potenza contra ’l sommo Giove», disse ’l mio duca, «ond’ elli ha cotal merto. Fïalte ha nome, e fece le gran prove quando i giganti fer paura a’ dèi; le braccia ch’el menò, gi
Ond’ elli a me: «Perché tu mi dischiomi, né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti, se mille fiate in sul capo mi tomi». Io avea gi
voi dite, e io farò per quella pace che, dietro a’ piedi di sì fatta guida, di mondo in mondo cercar mi si face». E uno incominciò: «Ciascun si fida del beneficio tuo sanza giurarlo, pur che ’l voler nonpossa non ricida. Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo, ti priego, se mai vedi quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo,
E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che ’nvidia le diede». Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». Ond’ ïo a lui: «Domandal tu ancora di quel che credi ch’a me satisfaccia; ch’i’ non potrei, tanta piet
Oh abbondante grazia ond’ io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
«Se voi venite dal giacer sicuri, e volete trovar la via più tosto, le vostre destre sien sempre di fori». Così pregò ’l poeta, e sì risposto poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io nel parlare avvisai l’altro nascosto, e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: ond’ elli m’assentì con lieto cenno ciò che chiedea la vista del disio.
«Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirto», dissi, «e fammi prova ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». Onde la luce che m’era ancor nova, del suo profondo, ond’ ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova: «In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rïalto e le fontane di Brenta e di Piava,
Poi ch'io potei di me fare a mio senno, trassimi sovra quella creatura le cui parole pria notar mi fenno, dicendo: <<Spirto in cui pianger matura quel sanza 'l quale a Dio tornar non possi, sosta un poco per me tua maggior cura. Chi fosti e perche' volti avete i dossi al su`, mi di`, e se vuo' ch'io t'impetri cosa di la` ond' io vivendo mossi>>.
Questo sicuro e gaudïoso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. O trina luce che ’n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d’Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond’ ella è vaga,
Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo». Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno. Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo ancor ver’ la virtù che mi seguette infin la palma e a l’uscir del campo,
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