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Aggiornato: 23 giugno 2025


E quella fu la terza e, fino ad oggi, ultima volta che la mia innata ghiottoneria m'aveva tratto ai cattivi passi. Un'altra volta questo malo istinto mi valse quella tale staffilata che mi diede il gin-mù quando nella stiva del vascello andai alla cerca delle cose dolci promessemi dalla madre.

Finalmente! pensava egli, mentre la mano scoteva la corda del campanello di casa. La lotta è stata accanita; ma ella ha ceduto. Per me, l'essenziale era di rompere il ghiaccio. Come sono stato fanciullo! V'ebbero due momenti nel dialogo, che io quasi non riconobbi me stesso. Una donna m'aveva posto nel sacco. E adesso, a me! A quell'altro non gli parr

Io ero più debole di lei. Il terrore m'aveva sopraffatto e non mi lasciava pure la forza di proferire una parola consolante, di opporre a quelle imaginazioni di morte una parola di vita. Anch'io ero sicuro dell'atroce fine. Guardavo, nell'ombra violacea, Giuliana che mi guardava; e mi parve di scorgere in quel povero viso estenuato i segni dell'agonia, i segni d'un disfacimento gi

S'ella desiderava di vedermi vicino a lei, potevo contentarla, senza riguardi per il mondo; perchè rifiutare quel conforto a un'amica, la quale m'aveva conosciuto libero, indipendente, e nel turbinìo della vita non s'era dimenticata di me? Andrò da lei, stasera! mi dissi, rientrando nel salotto. Il volto calmo di Lidia ebbe la potenza di stornarmi il pensiero dietro altre idee non meno tristi.

Lidia non m'aveva mai parlato di quel libro; non solo; io ignorava perfino lo avesse letto.

Quel solo giorno m'aveva portato un séguito di piccole e grandi angustie, intollerabile; nell'istesso momento, ero combattuto da opposte idee, da disegni contrarî, i quali sollevavano tutto il mio sistema nervoso, piombandomi nel dubbio, malattia orribile di cui non avevo mai sofferto.

Abbi un po' di pazienza, non bisogna precipitare, ma al mio ritorno mi darò premura di soddisfare i tuoi voti, e di trovarti un collocamento a Milano, che ti permetta di farti conoscere. Tale promessa mi ridava la vita; m'alzai, presi la mano di mio zio, la copersi di baci, la bagnai di lagrime. Il pensiero di ritornare nella mia cameretta di Milano m'aveva esaltato.

Mentre mi chinavo per origliare, una figura alta e bianca si alzò fra me e la porta, e disse con accento sepolcrale: Dorme. Detti indietro come all'apparizione d'un fantasma. Ma subito mi rincorai. Era un arabo, servo del Morteo da molti anni, che parlava un po' italiano, e che, malgrado la mia cappa bianca, m'aveva riconosciuto a primo aspetto.

Ella m'aveva semplicemente detto, con un sorriso mordace: Tanto, le avrei buttate nel fuoco! Io avevo allungato la mano rapace, non credendo a me stesso. Le avevo prestamente raccolte e deposte in fondo alla tasca interna della giacchetta. E quando avevo potuto mettere il piede fuori del cancelletto, m'ero dato a scappare di corsa, leggero come un uccello.

Al vedermi Clelia un atto di sorpresa non m'aveva udito ad entrare perchè era distratta non poteva essere altrimenti. Però sorrisi della sua debolezza essa arrossì in volto e non sorrise. Non vi badai gran fatto, e mi rivolsi ad Eugenio. Che cosa narravi a mia moglie? gli domandai scherzoso. Eugenio mi porse la mano. Parlavamo di pittura le facevo una proposta che tu devi farle accettare.

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