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Aggiornato: 7 giugno 2025
Con cagne magre, studïose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s’avea messi dinanzi da la fronte. In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ’ figli, e con l’agute scane mi parea lor veder fender li fianchi. Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli ch’eran con meco, e dimandar del pane.
Ma forse i vostri amici hanno pensato che quelle consuetudini le aveva dimenticate per primo un certo novizio, arrisicandosi di metter piede a San Bruno. Perciò li avete scusati? domandò ansiosamente il conte Gualandi. Proprio così; dopo aver dato quel cattivo esempio, non potevo fare diverso. E rideva, la birichina, dando quella notizia al povero conte.
Il padre Anacleto pensò che egli aveva dimenticato qualche cosa, nel giudicare così severamente la vita, come aveva fatto da prima, e che tutto non era afflizione, o noia, nel mondo. Lo zio Prospero si era allontanato per qualche faccenda domestica. Adele Ruzzani e il conte Gualandi erano tornati nel salotto.
Adesso, m'aspettavo anche il padre Anselmo, il padre Tranquillo, e quei pochi altri che hanno mostrato di non vedermi di mal occhio; disse la signorina Adele, chinando modestamente lo sguardo. A questi patti li vedrete capitare tutti quattordici; rispose il conte Gualandi. Ma vedete che fretta!
Diciamo dunque che il conte Gualandi del Poggio ebbe quel giorno una pregustazione delle beatitudini eterne. Ciò mi dispensa dal parlarvi del pranzo, cosa tutta materiale e non degna di figurare accanto a così eterei godimenti. Del resto, se dovessi raccontarvi minutamente ogni cosa, ci avrei materia per un altro volume. E badiamo, le cose lunghe diventan serpi.
Vi racconterò invece che quella sera, mentre il signor Prospero leggiucchiava il giornale, e i nostri giovani parlavano di cose da nulla, mettendoci il senso arcano e profondo che si può mettere anche in cose da nulla, capitò il sottoprefetto di Castelnuovo; visita aspettata ma niente affatto gradita. Il signor Prospero, che rammentava gli accordi, non sapeva che pesci pigliare, e dentro di sè mandava al diavolo il conte Gualandi, il sottoprefetto, il duca di Francavilla, il ministro degli interni, le commende e i commendatori, i capricci delle nepoti, le proprie vanit
Dunque, ripigliò, la signorina Adele, voi siete stato così gentile da ricordarvi della vostra promessa? Appena ho potuto; quarantott'ore dopo; disse il conte Gualandi. Eccomi qui senza impiego, signorina. Sono spriorato. Veramente? Verissimamente, e il convento di San Bruno soppresso. Povero convento! Ci si stava così bene! Lo rimpiangete, signorina?
E il padre Anacleto, o, se vi torna meglio, il conte Gualandi del Poggio, diede un'occhiata al suo avversario, un'occhiata che pareva volesse passarlo fuor fuori; ma subito dopo sorrise, come bisogna sorridere nell'atto di sbudellare il proprio simile, od anche di esserne sbudellato; stese il braccio destro, alzò il braccio sinistro, ripiegando la palma verso la testa, e cadde in guardia con una grazia, che dimostrava l'uso antico e la padronanza dell'arma.
Questi, o questa, perchè gli è tutt'uno, fece l'atto di accostarsi a lui, per scoccargli un bacio; ma si trattenne a mezz'aria. Era presente un terzo incomodo, un amico, un compagno d'altri giorni, che il conte Gualandi aveva voluto testimone alla cerimonia nuziale. Mettete che fosse il narratore di questa povera storia, e non andrete lungi dal vero.
Dovete immaginarvelo; ed io sono un po' troppo buona a credere che voi non lo abbiate indovinato a tutta prima. No, vi assicuro, non lo avevo indovinato; rispose il conte Gualandi, sconcertato da quel mezzo rimprovero. Potevo benissimo argomentare il movente della loro calata a Castelnuovo. Se n'è parlato troppo, lassù.
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