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Datemi ber, l'anima nostra viva. Si mangiava e scuffiava e si bevea con una divozion contemplativa. Filinor dissoluto i cor leggea, e s'adattava al caso ed istupiva; ma gli occhi ha chini e sta rattenuto, che piú santo degli altri fu creduto. Baldovino era un fanciullaccio rotto, ma seguiva il costume di soppiatto, ché in casa a Gan bisognava esser dotto e far le iniquitá chete per patto.

E gli fa riverenza, e poi gli ha data la lettera che a lui lo raccomanda. Gan lo saluta e, la lettra sbollata, vide per Filinor ciò che dimanda. E disse: Cavalier, vi sia donata quant'assistenza io posso in questa banda, e ben la meritate al parer mio, ché mi sembraste col timor di Dio. Chi in quel s'affida non può dubitare. La coscienza netta è un gran conforto.

Cosí gridava Olivieri marchese; ma vendea nondimen rascia per panno, e si sapea che in certe catapecchie era lo spasimato di parecchie. A' costumi cambiati, alla lettura riformata ed all'ozio ed alla pace, cambiata non avea la sua natura Gan da Pontier, traditor pertinace.

Vo' fare una sant'opra, e dal Sovrano chiedo sia benedetta dalla mano. Abbonderan le cere, e mie saranno: finita la fonzion, vostre poi sono. E piú: mille ducati pronti stanno: questi alla vostra povertá li dono. Pregate tutti Dio, dal qual pur s'hanno ad aspettar le grazie; ed il perdono dicea Gan chiedo prima de' peccati; e va baciando i scapolar de' frati.

E giá stendea la man quel luterano con gli occhi chiusi ed un visino onesto; ma volle il caso che Marfisa a un tratto rinvenne, e Gan rimane a mezzo l'atto. Tornata in la dama a poco a poco, languidetta s'andava rassettando; veduto Gano, il viso fe' di foco, e che partan le dame comando. Poi disse al conte: Che di' tu, dappoco? in capo ci ha cacato il conte Orlando.

Disse Marfisa: Assai di te m'edifico, ma per gli altri tremila è duro il chiodo. Fammi parlare al mezzo, e mi certifico ch'io ridurrollo vizzo, s'egli è sodo: saprò toccar le corde e tôrre il vento per far che de' tremila sia contento. Per meno di seimila non sperate, la persona palesar vi posso diceva Gan; ma se i tremila date, noi vedrem tosto Filinor riscosso.

Ora torniamo a Gan, che s'innamora de' tremila zecchini, che son belli: gli tocca e con la vista gli divora; poi gli ripon ne' sacri suoi cancelli; poi ride e dice: Questi gli sparagno, perch'io sono il mignon di Carlo Magno. Volle che Filinoro gli facesse una scrittura, in viso assai cortese, con la qual dell'incarco promettesse a Gan cento zecchin pagar il mese.