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MANGONE. Ho inteso che da Ragugia sia venuta una nave carica di schiavi: vo' andare infino al molo per veder se vi sia cosa da vendere o barattare. Tu resta alla guardia de' schiavi; ché levandogli gli occhi da sovra, chi nasconde, chi rubba, chi s'empie il ventre e chi machina di fuggire. FILACE. Andate sicuro, ché non mi smenticherò del mio ufficio.

DOTTORE. Balla, salta e fa atto da pazzo. MANGONE. Filace, tienlo che non ti scappi, ché ne scapperebbe la speranza di non averne a sapere mai piú il fatto come è passato. DOTTORE. Finge il muto e il sordo. MANGONE. Dubito che da dovero non sia sordo e muto. DOTTORE. Parlagli con i cenni e con le mani, se forse t'intende. MANGONE. Appunto. Bisogna parlargli con le mani da dovero.

MANGONE. Se venisse quel di Calabria per la Gobba, digli che non ne chiedo meno di dugento ducati. FILACE. Voi dovreste pagar chi ve la togliesse di casa: ella è brutta di volto e bruttissima della persona, col mento fitto nel petto, con le reni inarcate, con le groppe uscite fuori, che par che d'ora in ora aspetti la soma. MANGONE. Non mi mancherá il mio prezzo: conosco l'umore.

MELITEA. Dice che ha uno spirito folletto nella caraffina, che indovina quel che vuole. FILACE. Par che costui negromantizzi; non vorrei che ti facesse entrar qualche spirito in corpo per forza. MELITEA. Quel spirito che ha nominato, ce lo farei entrar per mia volontá. Ma indevina se m'ama.

Noi, galante uomo, entriamo in casa, ché vi darò i restanti danari, e faremo un poco di collazionetta, e berete una volta. PANFAGO. Per non parer discortese alla prima con voi, se ben ho desinato poco anzi in nave, verrò volentieri, berrò una volta e due e quattro, se me lo comandarete. MANGONE. Filace, non levar gli occhi da Melitea, lascia che veggia ballar e cantare lo schiavo.

MANGONE. Tieni, tieni! PANFAGO. Lasciatelo andar in malora, che si rompa il collo! FILACE. Ecco il bastone. MANGONE. Vieni con l'armi dopo la rotta! Io vo' andare a trovare il raguseo, chiarirmi del tutto e ricuperar il mio; tu resta guardiano della casa. DOTTORE. La dovevi far guardar prima: ti porrai la celata dopo rotta la testa! FILACE. Cosí farò.

FILACE. , signore; e omai se l'han divorata e menano le mani assai valorosamente. PANFAGO. Son usati a menarle su le funi a' servigi della nave. FILACE. Eccoli che vengono fuori. PANFAGO. Avviatevi innanzi alla nave, sgombrate tosto: che fate? non vo' che vegnate meco, ch'io verrò appresso.

Tutta è ricci e belletti e abbigliamenti e attillature, e tutta cerimonie, però cosí amata da quel napolitano che non è altro che fumo, schiuma, neglia e vento: vivono di nebbia e si pascono di fumo, e chi se impaccia con loro si trova con le mani piene d'aria. FILACE. Se venisse Forca o Pirino, che dirogli? MANGONE. Guardatevi da loro come dalle serpi!

Se vi dovesse spendere tutta la mia robba, io il porrò in mano del boia. FILACE. Padrone, ho ritrovato costui nascosto con le vesti di Melitea. MANGONE. Ecco qui il ladro, ecco qui l'assassino, che ancor tiene adosso le vesti di Melitea. DOTTORE. Mangone, da costui si potrá sapere il fondamento del fatto. MANGONE. Vien qui, traditore; onde hai tolte le vesti, ove è colei a cui le togliesti?

E pur ciò sarebbe nulla, se amor non avesse voluto mostrar in me l'ultimo essempio della sua possanza, accendendomi d'alti e generosi pensieri in cosí misero e abietto stato, e alfin costretta a morirmi di fame in prigione. FILACE. Melitea, Mangone ti licenza che ti pigli un poco di spasso con veder cantare e ballar questo schiavo. MELITEA. Altro che balli e canzoni mi stanno nel capo!