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Aggiornato: 6 luglio 2025


MANGONE. Filace, recami qui un bastone, ché quel solo ha virtú di far intendere a sordi e parlare a muti. DOTTORE. Mentre egli viene, io vo' far prova se nelle pugna e ne' calci fusse la medesima virtú. Vòlgeti qua, se non mi racconti il fatto come sia gito, arai per ora un saggio di pugna. Non vuoi rispondere? toccherai delle busse.

In camera vi dirò il tutto. FILACE. Melitea, tu entra dentro. MELITEA. Or ora. FILACE. Ca..., canchero, che m'avesti a far dire una mala parola! Voi donne non vi contentate del giusto mai, sempre inchinate al troppo: se vi si concede un dito, ve ne togliete un palmo.

MANGONE. In somma, guárdati, perché ho molti inimici. FILACE. Morendo smorberá il mondo. MANGONE. Però vive, ché l'inferno l'abborrisce. Ma faccia quanto può, differirla può ben, ma non fuggir la forca che gli sta apparecchiata. MANGONE. O come campeggiarebbe bene una forca in mezo due forche!

PANFAGO. Da quaranta in cinquanta, e giá li voleva portare in Ispagna; ma per aver incontrato per il camino certe fuste le quali facevano l'amore con la nostra nave, l'è paruto piú sicuro fermarsi qui in Napoli, se forse li potesse qui smaltire. MANGONE. Filace, vien qui fuori. FILACE. Eccomi. MANGONE. Hai dato da far collazione a quei giovani?

MANGONE. Filace, fa' calar quello schiavo. Vedrete che non v'ho detto bugia: avanzará con la presenza quello che vi ho depinto con le parole. Ma avertite che non vi lascerò un quattrino di trecento scudi, perché val cinquecento, e vo' che voi ne siate giudice.

Son risoluto farle un buco sotto le reni fra cuoio e pelle e farla gonfiar con un mantice, come si fa a' buoi vecchi per fargli parer grassi, quando si portano a vendere. FILACE. Che faremo di Demonica?

Quando il martello di amor lavora, batte e cava piú scudi d'ogni martello. FILACE. Che dirò a quel genovese della Macrina? MANGONE. Daglila per quel prezzo che vuole: mangia per diece e sta piú magra d'una gatta che mangia lucertole. Ogniun che la vede cosí asciutta stima che in casa mia non si mangi se non biscotto e vi si digiunino tutte le vigilie.

E per dove potria esser scampata? FILACE. Io non mi son mosso oggi di casa fuor dell'uscio; e se non ha poste l'ali e scampata per le fenestre, non ha potuto scampar altronde. DOTTORE. Che dici ora? non parli? MANGONE. No, può uscir fiato dalla gola: Forca m'ha strangolato. DOTTORE. Che ti dissi io? MANGONE. E mi fa peggio ch'egli m'abbi ingannato, ch'ogni altro forastiero.

Quel raguseo è stato la cagione della mia ruina. DOTTORE. Come ti colse quel raguseo? MANGONE. Con un presente di molto prezzo; e non m'accorsi che sotto la maschera di quel presente stava nascosta la trappola. PANFAGO. Ditegli che vi mostri quel presente. DOTTORE. Di grazia, fammi veder quel presente per isgannarmi. PANFAGO. Filace, conduci qui quel presente che mi portò il raguseo.

FORCA. Nascondiamoci e ascoltiamo, ché da' suoi maneggi ne caveremo principio di qualche garbuglio: ogni suo trattamento ne potrebbe giovare. MANGONE ruffiano, FILACE servo, PIRINO, FORCA. MANGONE. Filace, olá, non odi? cala qua giú presto. FILACE. Eccomi.

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